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Harmonia Mundi
(20/07/2008)

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Disperata è la condizione dell'uomo il quale, quando gli affiori un barlume di coscienza, si trova a confrontarsi con la inevitabile domanda: "Perché tutto questo?".

E più guarda all'intorno di sé, tanto maggiormente il suo quesito trova il buio nel quale perdersi.

A nulla vale la scienza la quale, attraverso il numero, azzarda un sistema di possibili risposte che leniscono appena l'ansia di sapere.

L'uomo nel cosmo

Procedere con la sola ragione - che riconosce il numero attraverso il quale si esprime la manifestazione - non è compensativo o bastevole; essa non riesce a farci concepire nulla di definitivo: i risultati che essa ci mette a disposizione ci favoriscono nel progredire nella conoscenza, ma ciò non risulta essere completamente appagante: vogliamo delibare più completamente il fatto d'esserci; vogliamo saperne di più.

Elevandosi lo stato della nostra coscienza - quando ciò possa avvenire - ci si comincia a spiegare perché le più incredibili fantasmagorie inventate dall'uomo lo vogliano essere creato dal fango o dall'argilla (che poi è una specie di fango rappreso): fatto di terra ed acqua, vive per finire in cenere.

Una condizione, un'origine, uno stato umile, da sottomesso.

Venuto a far numero dai sassi quando non dalla mota, giunge a riconoscersi nella condizione di semplice creatura; di seguito si promuove a figlio della divinità per poi finire col ritenersi il suo servo, vinto forse dal rimorso d'avere osato tanto.

L'uomo brama il divino

L'esigenza di acquietare lo sbigottimento derivato dal non potersi dare giustificazione d'esserci, poiché gli sfuggono le cause e le finalità del suo esistere, hanno indotto gli effimeri (così li chiamava Eschilo, fissando ineluttabilmente l’unica definizione che si possa accettare dell'uomo) a volgersi verso tutte le direzioni alla ricerca d'un padrone che potesse garantire d'appartenere a qualcuno, che di per sé è situazione che si offre a guisa di garanzia di un certo benessere.

E' proprio infatti della pusillanimità umana anelare a qualche forma di protezione e di sostegno; ove non si riesca a pervenire a risultati che facciano apprezzare le nostre azioni volte a proteggerci dalle angherie cui il vivere in questo mondo ci sottopone, riusciamo a concepire - con l'aiuto di Metis - una sorta di stratagemma che ci contenti almeno in parte: sì, una direzione si trova ove sia riposta la garanzia che si sia di Qualcuno che quand'anche ci tuteli e sovvenga ai nostri bisogni d'ogni genere: sotto i nostri piedi c'è la terra, sassi, rocce e montagne difficili da scavare: meglio cercare anfratti, grotte, pozzi naturali bell'e fatti ove andare a cercare il numinoso.

Antro della Sibilla Cumana

Guardando a destra e a sinistra correremmo il rischio di incontrare uomini più furbi di noi che non faticherebbero a ridurci a ritenerli alla stregua di divinità.

Così pare accadere ai tempi nostri, ove i "divi" non sono pochi e appartengono a tutte le categorie orizzontali.

Essi offrono le consolazioni dei pezzenti, e i miserabili che li esaltano trovano con ciò stesso la loro condanna. Ci vuole qualcosa di più, qualcosa d'altro.

Basta alzare la testa: lassù c'è il cielo, l’unica dimensione inattingibile; è proprio lassù che possiamo porre gli Dei ai quali rivolgerci: Dei in quanto invisibili e soprattutto irraggiungibili; questo garantisce paradossalmente che vi siano, lassù, nascosti oltre le nuvole, splendenti come il Sole, gli Enti assistenziali cui si è legati - tramite le religioni - dalla speranza e dalla paura.

E' dunque la mortale argilla, inconsolabile del proprio stato, se non ricorre alle fantasmagorie dei miti e delle religioni che ne hanno diretto i passi verso il baratro reso invisibile dalle illusioni, che queste ultime hanno elargito e nel quale in ogni caso si finirà per precipitare?

Narciso ammira se stesso riflesso nell'acqua

In fondo i languori umani, che hanno finito per mettere a punto, come s'è detto, i miti e le religioni che aiutassero ad obliterare un tormento crescente quanto lo era la consapevolezza d'esserci in funzione del puro nulla, qualche risultato lo hanno pure raggiunto.

Per lenire lo strazio di uno sbalordimento derivato dalla conseguita coscienza, s'è fatto ricorso ancora una volta a Metis, che in questa occasione non ha indicato la sola direzione cui rivolgersi per identificare un possibile patronato, ma ha elargito una sarabanda di figure - tutte genericamente antropomorfe, per consolare meglio e più in fretta - attraverso le forme delle quali ognuno potesse trovare quel che gli bisognasse.

E giù dei di tutti i colori e di tutte le forme, misti a miti di ogni genere; tutto ciò fu prodotto nella continuazione del tempo, tanto che ad oggi non si possono distinguere le forme delle religioni e quelle che hanno preso i miti, che a volte si sovrappongono a quelle, creando quella gran confusione che la furbizia della nostra ragione - Metis, appunto - ha prodotto per sottrarci (come le era stato richiesto) al supplizio della Verità, che s'annuncia vereconda e terribile senza parole,  senza colori e senza forme.

Il Pantheon, il Tempio di tutti gli dei

Non è con le finzioni che possono essere supporto della vita religiosa che l'uomo può trovare un definitivo placarsi; se è pur vero che la sua storia è stata in gran parte determinata dalle fantasmagorie mitologiche e dalle vere e proprie invenzioni religiose, all'oggi dovrebbe essersi evoluta quella chiarezza che farebbe paradossalmente da contraltare alla tenebra del baratro che attende ognuno.

Per cui, dato un segnale d'arresto alle illusioni, all'essere umano non resterebbe altro da fare che porsi nell'angolo più remoto della sua esistenza interiore e, resosi definitivamente conto del suo miserevole stato, mettersi platealmente a versare le ultime lacrime rimastegli, tratte dalla sacca però inesauribile dello sconforto e dell'avvilimento.

Questa forse brutale analisi potrebbe apparire addirittura crudele a chi avesse l'animo di donnetta, ma è certo più utile di quanto nei millenni hanno proposto i terroristi dell'Inferno, ai quali ogni loro vittima si è rivolta con fiducia recando doni di ogni genere un tempo rimpinguendo le are sacerdotali di giusti grassi e di saporite carni e via via con aurei bisanti e cospicui lasciti, pur di poter tradurre la paura in speranza.

Abbiamo fatto cenno ai miti: essi valsero come supporti per la vita religiosa: che dire dell'ultima consolazione rimasta sul fondo del vaso di Pandora? L'alternativa possibile al baratro di tenebra emerge dal fondo dell'ambiguo dono di Zeus a Prometeo, in uno scontro tra lestofanti: la Speranza, appunto.

In che cosa? I raffinati  ciarlatani non possono più avere ragione delle nostre attese; il delicato incanto tenuto in piedi dalle illusioni guidate opportunisticamente dagli intermediari dell'Alto è ormai caduto: ci stiamo forse vedendo chiaro. Abbiamo creduto, abbiamo temuto, abbiamo sperato.

Ora sappiamo che la domanda che ci siamo posti all'inizio:"Perché tutto questo?" può avere innanzitutto la risposta: "e perché no?" nell'ottica che valorizza ciò che è e basta.

"GNOTI SAUTON": "Conosci te stesso", la scritta incisa all'ingresso dell'oracolo di Delfi

Che tutto ciò che ci sia corrisponda ad un qualcosa di ordinato che ci farebbe pensare ad un progetto in esecuzione svolgendosi il quale ci deriverebbero quelle conoscenze attraverso le quali riusciremmo forse nel giorno del chissà quando a rispondere su chi l'abbia concepito e con quali finalità è da potersi auspicare: il cosiddetto Superiore ed Imperscrutabile Disegno nel quale ogni cosa che sia è prevista che abbia una giustificazione, nella più completa indifferenza alla nostra ragione e ai nostri sentimenti, è in sé sufficiente per tranquillizzare gli animi.

Inutile pretendere troppo,troppo voler sapere; sia sufficiente concepire che vi è equivalenza tra Ordine, Armonia ed Equilibrio.

Ciò può essere intesa come connotazione bensì generica seppure bastevole.

Questa può ritenersi la direzione verso la quale volge la speranza non di una qualsiasi forma di salvezza, ma di compiere il nostro percorso conformemente a ciò che ci è riservato dalle misteriose linee che tracciano la nostra esistenza, facenti parte di ciò che per se stesso risulta essere giusto e perfetto.

 
 


Francesco M. Pullara

 

 

 
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