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Amare il prossimo
(15/06/2006)

Documento senza titolo

 

E’ stato detto, da parte di alcuni nostri predecessori, nelle più varie e lontane parti del mondo, nel passato più remoto e nascosto alle nostre reali fantasie, di fare uno sforzo per cercare di amarsi gli uni gli altri. Il comando o meglio l'esortazione di amare il prossimo come se stessi e stato piuttosto comune all’uomo: egli ne sentiva la necessità, vorremmo dire il senso economico, forse ancora prima che quello morale.

Amare il proprio simile come punto finale di accesso alla presenza dell'altro era innanzitutto giusto da un punto di vista sociale: una gente, una tribù, un popolo nel quale promanasse questo credo avrebbe potuto godere di vantaggi maggiori di quello volto all'odio, che è separazione, guerra e incomprensione. Coloro che avevano percepito il vantaggio di una situazione di apertura, di unione, di amore furono però -e lo sono stati sempre- una esigua minoranza, così come nella popolazione di un’intera città poche sono le persone veramente intelligenti, pochi gli uomini e le donne belle, relativamente pochi sono gli atleti e tutti coloro che sono esemplari per la collettività.  Dunque anche pochi -pochissimi- i profeti, e cioè quegli uomini che, magari senza avere gli occhi allucinati da visioni divine ed inspiegabili, avevano naturalmente e laicamente la vista più lunga degli altri: quelli che semplicemente capivano, sapevano, vedevano oltre il velo di Iside.

Cosa ha impedito, nella storia umana, che questi nostri rari e preziosi predecessori siano stati ascoltati, visto che oltretutto avrebbe potuto essere utile all'uomo amare piuttosto che odiare? Quale forza inespugnabile li ha costretti a rimanere un'esigua minoranza ascoltata da relativamente pochi uomini che non sono riusciti, nemmeno riuniti in chiese, orientati da religioni, organizzati in varie associazioni, inquadrati in benefiche crociate (quando mai una crociata ha potuto essere benefica?), a trarre un risultato definitivo dai loro costanti sforzi e da un continuato impegno? Perchè l'uomo appare cosi recalcitrante a sottomettersi alle leggi della saggezza, che lo vorrebbero innanzitutto ragionevole e quindi ‘oeconomicus’, vale a dire pronto ad amare l'altro per un utile sociale; della bellezza, poiché una società è tanto più perfetta  quanto più composta da persone vive e varie, la commistione tra le quali rinnova le generazioni e ne crea un prodotto derivato migliore sotto ogni profilo; della Forza, attraverso la quale difenderebbe le conquiste cui è pervenuto con la sottomissione alle leggi nate da Minerva e Venere, cioè i principi divini che soccorrono dall'alto lo svolgersi della vita degli esseri umani?

Cercare di dare risposte a questi quesiti non e stato ne facile ne e potato essere definitive da parte di severi studiosi del settore riservato a queste indagini: né i filosofi, né i preti di ogni religione, né i piu recenti psicologi cui sembra ogni aspetto della natura umana più segreta essere palese.

Il nostro breve studio si limita -non avendo alcuna presunzione di risolvere nodi gordiani di questa portata- ad esaminare alcuni aspetti della natura più propria dell'uomo, insita precipuamente al suo essere tal qual’è, legata da catene che si chiamano indole, estro, timore, temperamento, carattere ed infine demone. E’ pur vero che all’uomo è propria la ragione, che è la base grezza dell'intelletto, il quale nutre il Signore rinchiuso nella torre alta del suo stesso castello, quasi prigioniero di quei sentimenti che traggono origine nel fossato umido della sua personalità, ove prosperano le canne e i serpenti, a cui da tutti viene riconosciuto il nome di Spirito. Esamineremo dunque leggermente l’uomo nella sua complessità, nei limiti nei quali e possibile in poche pagine.

Liber Divinorum Operum
(Hildegard von Bingen - XIII sec.).

L’oscuro Eraclito affermava che demone a ciascuno è il proprio modo di essere, intendendo probabilmente per demone quella irrinunciabile ‘forma’ interiore nata ferreamente dall'indole, dall’umore, dal temperamento, da quell’animalità umida e dalla secca intellettività che, messe insieme, danno forma esteriore all’essere umano. Dunque l’uomo sarebbe la manifestazione di ciò che è contenuto o espresso nel demone, radice di lui nascosta, intima struttura polimorfa continuamente in movimento proprio perchè posta da elementi di varia natura come i principi che si riferiscono all'anima e quelli che afferiscono alle regioni più alte dello Spirito. Il prevalere di alcuni principi o forze su altri determina dunque il differenziarsi delle molteplici nature umane: saranno le nature formatesi dalle forze cosiddette umide o umorali o se volete ferine quelle ad essere meno controllate da Minerva, Venere ed Ercole che viceversa orientano le forze che originano maggiore consapevolezza, e quindi l'obbedienza alle leggi nate dai concetti che sono alla base, per cosi dire, della loro influenza. I nomi delle tre divinità non sono che un riferimento simbolico allo scendere su di noi di quel trascendente con cui si manifestano le forze principiali che riguardano più propriamente l'uomo.

Si è detto che le forze più grossolane hanno apparentemente la meglio su quelle sottili: ma ciò è legato all’immediatezza, dunque al fattore tempo; ebbene, in queste valutazioni non contano gli anni, i secoli e neppure tanto i millenni. L'uomo ancora soggiace alle forze ctonie che si trasformano in energie negative, manifestantesi negli umori, nei temperamenti e nei caratteri legati al concetto rappresentato dall'acqua; quando si divincolerà da queste catene, che pian piano vanno allentandosi, sarà maggiormente orientato dalle influenze superne, altrettanto primigenie delle altre, che però sono rappresentabili dal fuoco che -per derivato- dà nutrimento al Signore della nostra torre alta e isolata: lo Spirito. E' da esso infatti, veicolo della unica e vera Conoscenza, che e identificabile l’Amore; quell'Amore che non e umido sentimento che può anche paradossalmente portare all'odio e dunque alla separazione e alle guerre, ma che rappresenta l'unica strada percorribile dal nostro intelletto superiore per riconoscere, negli altri uomini nostri simili, una delle innumerevoli manifestazioni di quel Principio e dell'Unità da cui ogni cosa deriva. La consapevolezza di ciò stabilirebbe l'inevitabile identità tra il me e ciò che è altro da me, nel riconoscimento finale di una generale, benefica fraternità di tutti gli esseri viventi e apparentemente non viventi: il clamoroso riscontro che il nostro demone è l'origine della consapevolezza che ci rende uguali al Tutto, al quale rivolgersi con quell'interesse che altro non è che profusione d'Amore. Il prodotto finale di questa operazione potrà essere definito l'amore fraterno che ogni uomo che imprende la via della Ricerca del proprio vero e più nascosto demone finirà per provare nei confronti del suo simile, come è auspicato dal lavoro latomistico di alcune minoranze -o se volete élites- che ancora oggi sono impegnate a fare, nei più vari aspetti dell’umano operare.

 

Francesco M. Pullara

 
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