Home

L'Età dell'oro
(20/11/2008)

Untitled Document

 

           Una possibile interpretazione dell’illusione consolatoria e del tramonto del mytos.

L’ideazione di una cosmogonia riferibile all’intervento creativo di una o più entità favorevoli a disporre l’uomo in una situazione tale che la sua condizione sia non solo guidata ma anche tutelata ad indirizzare il suo cammino verso una sorta di adempimento che lo riconosca simile alle superiori entità creatrici, ha messo il protagonista del Creato (così almeno egli crede di essere) in una posizione di attesa continuata: il Tempo, con il suo scorrere incessante attraverso i cicli osservabili nella  Natura, sarebbe il fattore attraverso il quale si troverebbe ogni giustificazione dell’essere stato, del suo stare e del suo futuro esserci.

Stonehenge: Orologio cosmico, misuratore dei cicli temporali.

L’osservare incessantemente i cicli che annualmente la Natura manifesta nella continua alternanza delle stagioni, per esempio, ha portato alcune peculiari individualità a potersi accordare sulla sistematizzazione del tempo passato:il processo analogico è intervenuto favorevolmente a proporre un possibile confronto tra il ciclo giornaliero e quello annuale;

così come una giornata può essere divisa in mattino, pomeriggio, sera e notte facendo riferimento al percorso del Sole nelle 24 ore (dalle 0 alle 6; dalle 6 alle 12; dalle 12 alle 18; dalle 18 alle 24), analogamente l’anno può riferirsi ai due Solstizi e ai due Equinozi per poter essere riconosciuto nelle quattro Stagioni:la Primavera che va dall’Equinozio al Solstizio; l’Estate che origina dal Solstizio all’Equinozio; l’Autunno dall’Equinozio al Solstizio e finalmente l’Inverno dal Solstizio all’Equinozio.

E’ fuori d’ogni dubbio che se è da poter considerare aurea una delle quattro Stagioni, essa sarà la Primavera: l’energia che profonde e rivela la purezza e grandiosità delle sue intenzioni e la bellezza del movimento che suscita traducono nel nostro immaginario ogni aspetto di tutto ciò che ci arricchisce nello splendore della Vita che si rinnova .

Ad essa segue l’Estate, che ci dona i frutti maturati e le messi a piene mani ma… nessuno di noi preferirebbe un torrido Luglio ad un bel mese di Maggio quando ogni cosa pulsa di Vita e il primo vero calore ci fa godere e non soffrire.

Subentra l’Autunno che comincia a farci ritirare nelle case, dove volentieri staremo d’Inverno, poiché fuori piove o nevica o fa freddo: in una parola, si sta male.

Gruppo marmoreo rappresentante le quattro stagioni

Perché non prendere in considerazione le grandi Età Cosmiche nelle quali l’uomo ha diviso il tempo che lo ha preceduto?

Fino a che punto può essere un azzardo collegare l’ Età dell’Oro alla Primavera e quella dell’Argento all’Estate, l’Autunno all’Età del Rame e l’Inverno all’Età del Ferro?

E’ infatti d’Inverno che si anela il tepore rinnovante le energie vitali che ci dona la Primavera; è quando ci si rifugia al coperto perché fuori si sta male che si pensa quanto era bello starsene all’aperto, nella Natura che ci favorisce in quel tutto che concretizziamo nel concetto di bellezza del Creato.

Il Bello e il Buono si confondono: ci prendono per mano e ci conducono in quell’ illo tempore in cui, in parole povere, era facile godere la Vita.

L’avere perduto il contatto con l’energia pulsante che abbiamo attribuito alla purezza delle intenzioni nel manifestarsi della Primavera è analogo al non partecipare più alla mensa degli Dei, quando era naturale comunicare con essi.

Il nostro principio aureo è alle spalle, è di là dai tempi ; nel ciclo stagionale siamo in Inverno e non ci resta che ricordarci della Primavera come a quel lontano periodo in cui tutto è trasfigurato dall’immaginazione: rimangono i “significati nascosti” del mito, la cui comprensione è riservata sempre più ad élites che pontificano circa le esegesi possibili dei tempi passati, in cui non già la Storia ( ci si riferisce ad età pre-istoriche in cui non si potevano scrivere gli eventi) ma la trasmissione orale dei fatti lasciava ampi spazi di immissione del fantastico.

Ma a misura che i cicli si involvevano e dalla lontana e iperurania  (nel vero senso della parola) Età dell’Oro si passò a quella dell’Argento e poi a quella del Rame e del Ferro il logos sopravvalse sul mytos , e si cominciò a scrivere di quei tempi lontani in cui gli Dei erano in famiglia,e addirittura si univano agli uomini: gli Eroi e i Titani (per riferirci alle tradizioni occidentali) ne furono i risultati.

Quando si scrive o si discetta dell’Età dell’Oro è perché si è nel tempo – secondo i cicli cosmici – immediatamente precedente al suo rinnovato verificarsi: il patrimonio culturale dell’uomo si rivolge alla religione come possibile accesso alla ricomposizione del ciclo; alla paura e alla ferrea disperazione del nostro Evo subentra la speranza salvifica: il primo che ha a portata di mano una pianeta la indossa e comincia a pontificare utilizzando il logos e strumentalizzando il mytos che è diventato metafora ad usum Delphini : la speranza della salvezza ( …dal gelido Inverno) si risolve con la resurrezione e con la risorgente Età dell’Oro.

Allegoria dell'Età dell'Oro

La Primavera porta gli aurei bisanti pasquali della conferma della ricomposizione del Ciclo cosmico: siamo nella possibilità di comunicare di nuovo con gli Dei e di essere ammessi alla loro mensa ( o alla mensa di un solo Signore). Il ricrearsi della cosmogonia è possibile, anzi certo.

Ogni credenza religiosa può essere ammessa: in altri tempi hanno preparato la strada i Misteri, che hanno sedotto con la salvezza e con la garanzia dell’immortalità.

Avvenuta in seguito la demitizzazione del pantheon classico è stato possibile accorgerci, con l’aiuto della ragione, che le quattro Età di cui noi ora viviamo la più terribile (l’Era di Kalì la Nera, secondo la tradizione Indù ) non hanno alcuna plausibilità, anche perché le stagioni sono cambiate e le analogie forse azzardate tra la Primavera e l’Età dell’Oro non sono più così sostenibili.

Le strutture che siamo riusciti a creare intorno a noi ci tutelano: non abbiamo soverchio bisogno di rintanarci in Inverno; abbiamo inventato gli strumenti che ci allevino le pene della brutta stagione ( che contribuiamo a rendere sempre più gradevole con le immissioni dei nostri infernali fumi industriali) e che addirittura ci inducano a divertirci: non abbiamo più bisogno di pensare all’Età dell’Oro come fosse un referente d’immortalità, e questo non ci porta ad attendere con ansia la sua corrispondente analogica, la Primavera.

"La Primavera" (Sandro Botticelli)

L’uomo è intervenuto sul cerchio, lo ha tecnologicamente spezzato e della linea che si concludeva in se stessa ne ha fatto una semiretta, ad un termine della quale ha posto una punta facendola diventare una freccia: tanto ci è voluto per dare validità solo al futuro, dimenticando i cicli, il ripetersi, l’attesa, il ricordo.

L’indiscussa odierna valorizzazione della gioventù che rappresenta il futuro penalizza adombrandola di pietà e compassione (se non addirittura spregiandola) la vecchiaia, il passato che serve solo a produrci imbarazzo.

La freccia è puntata verso l’avanti, visto come quale che sia mèta da raggiungere.

Chi potrebbe pensare all’attualità delle virtù cavalleresche nel mondo di oggi, di domani?  Il cerchio si è spezzato : la rivoluzione operata dalla freccia è stata irreversibile : l’Età dell’Oro è davanti a noi poiché attraverso il progresso tecnologico siamo in grado di ricostituire lo star bene senza dover pensare al lontano passato.
Ogni giorno crediamo di poter sedere alla mensa degli dei che sono ormai i risultati della nostra azione, avendo operato la deificazione delle cose, a cui abbiamo riferito il concetto di unico Bene.

Un logos apocrifo ha schiacciato il mytos; la nostra ragione ci ha dato ragione, come è naturale, ed abbiamo confuso il Bene intravedibile nell’Ordine cui allude il Cerchio con il benessere, dichiarato dal risultato implicito nella freccia vòlta al futuro. Lo stato ontologico del mondo è mutato.

Prometeo ruba il Fuoco (Heinrich Fueger-1817)

Ci siamo redenti dalla ciclicità ispirati dall’azione di quel furfante (sic) di Prometeo, che ci avrebbe fornito quella scintilla sottratta dalla Casa degli Dei attraverso il tradimento, che non è certo una virtù.

Travisando il concetto di divino abbiamo regredito credendo di progredire dando il solo significato razionale al logos, cui un frammento dell’Oscuro Eraclito riferisce il senso causale dell’accadimento di qualsivoglia evento, inaccessibile all’uomo ed alla sua ragione.

Anziché continuare a farci domande, attraverso il prometeico gesto abbiamo avuto la presunzione di fornire risposte, andando sempre a cavallo non già di Pègaso – che eleva l’uomo nelle regioni sublimi – ma della famigerata freccia puntata, ahimè, verso e solo un arrogante paglione.

L’incomprensibilità del valore simbolico dell’Età dell’Oro tradisce lo sconforto nel quale siamo caduti, illudendoci nel solo valore della ragione. La scoperta dei segreti dell’esistenza umana è stata incanalata nei canoni suggellati da una scienza che connota ogni aspetto della realtà come materia, staccando le ali al Pègaso dell’immaginazione creatrice e facendolo così divenire semplicemente e soltanto un quadrupede.

                                                                

 

Francesco Maurizio Pullara

 
www.kuthumadierks.com