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Il Pensiero affaccendato
(21/11/2016)

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La vita della civiltà moderna, soprattutto quella dei grandi centri urbani, è ben arida di momenti di pausa.

La febbrile attività quotidiana piena di cose da fare ci immerge totalmente in un contesto pseudo impegnato.

Cerca di riordinare i pensieri.

Tale atto implica una riflessione che è l’elemento strettamente connesso al pensiero.

Tuttavia l’etimo di questa parola allude praticamente ad un momento di stasi; infatti nel suo significato di ripiegare, volgere indietro (dal latino “reflectere”) propone una rielaborazione più accurata di qualcosa che sta accadendo ma che quasi o del tutto non controlliamo più.

È come se un campanello d’allarme avesse avvisato il pensiero di riequilibrarsi e ritrovare un bilanciamento, una compensazione.

Il pensiero o il pensare sono strettamente influenzati dalla realtà, e viceversa.

Ora accade che l’elemento che per così dire deve essere “curato” lo fa attraverso l’intervento di sé stesso; un po’ come è per i vaccini o l’omeopatia.

Possiamo perciò immaginare che ad un certo punto ad ognuno sopraggiunga una “crisi” durante la quale un’esigenza forte, a volte incontrollabile, costringa la mente a fare qualcosa.

Questo qualcosa è una manipolazione più o meno immediata dello stato d’animo dell’individuo provato dalla realtà che sta vivendo.

La mente entra in funzione ed è come se un pensiero superiore avvisasse gli altri pensieri di fermarsi.

La coscienza ispira una riflessione, quindi un pensiero, che in quel momento abbia capacità di sintesi ed esplichi in pieno la sua funzione essenziale: Pesare con cura.

Il suo compito è quello di provvedere ad accumunare tutti gli altri pensieri, pertanto la sua opera di riunificazione esige che egli sia più emancipato e vibri quindi ad una frequenza superiore.

Tuttavia per riconoscere i suoi “fratelli minori” deve per un certo tempo distaccarsi da essi. Deve esercitare un “separando” da tutti quei “pensieri affaccendati” fortemente legati al contesto che si sta vivendo poco equilibrato.

È uno sforzo per sollevarsi e salire la collina per poter osservare a 36o° senza essere troppo immersi in ciò che si osserva.

È un’occasione particolare che l’essere umano vive, è ciò che identifichiamo con l’appellativo di “crisi”.

Chi si trova a dover affrontare una crisi e sa come utilizzare l’opportunità che gli si presenta, via, via si accorgerà che queste sono esperienze indispensabili affinché si generi quel distacco per poter comprendere.

Occorre lavorare su sé stessi.

Sembrerebbe un paradosso che per poter “pesare con cura” si debba essere separati da ciò che si pensa.

D’altronde finché si è all’interno di una situazione, qualunque essa sia, si è limitati dai suoi confini entro i quali le dinamiche sono influenzate da molteplici correnti non sempre coerenti, fluide, armoniche; anzi spesso tutt’altro.

In un certo senso la crisi arriva quando si affaccia uno stato di caos che va ripristinato; la mente reagisce influenzata dall’esigenza di una riflessione più ordinata.

La percezione che comunemente abbiamo della realtà esteriore, ma anche interiore, ed emozionale è praticamente lineare. Si vive un’esperienza, matura, ci procura delle sensazioni, fa sorgere pensieri e riflessioni, poi quest’esperienza passa.

Anche le idee che da essa sono nate spesso svaniscono e anche se possono riaffiorare in futuro si sono trasformate solo in ricordi più o meno piacevoli.

Accettando questo sviluppo dell’esperienze tutto rimarrebbe ad un livello stabile e poco stimolante.

Ci si potrebbe chiedere: come può sopraggiungere allora quello stato di crisi portatore di una conseguente e indispensabile riflessione, veicolata a sua volta da un pensiero più elevato?

In realtà dovremmo considerare che tutto il processo si esplichi in maniera circolare e per questa peculiarità si ripeta ciclicamente all’infinito.

L’atto che si vive riversa in noi sensazioni, emozioni e pensieri che come in una fucina vengono lavorati e trasformati, in seguito sono riproposti all’esterno attraverso le nostre idee, i nostri giudizi, i nostri consigli.

Il nostro comportamento si confronta con “l’universo” che ha intorno, vi impatta e tutto ritorna per essere nuovamente r’impastato. Si genera un ciclo continuo che ogni volta elabora una separazione, o meglio una distillazione.

Un’alchimia che separa lo spesso dal sottile.

È attraverso questa operazione che si distinguono le persone.

Coscienti o meno che si possa essere ciò accade ineluttabilmente.

Con il tempo secondo le possibilità di ognuno avviene una raffinazione con conseguente aumento delle frequenze che investono tutto l’essere nella sua complessità, non esclusi, e forse in primis i suoi pensieri.

Ecco perché la crisi si rende necessaria, perché in fondo è colei che ci permette di osservare e mettere in atto il frutto di quella sedimentazione che crea “il pensiero sopra la collina”.

È lei che determina una sospensione momentanea della fruibilità dei pensieri e, costringe l’individuo a dare origine ad una idea più completa che possa riassumere tutte le altre. Un’idea che sia dispensatrice di una sintesi.

Nella circolarità cui accennavo, la crisi è l’attimo di shock che periodicamente provoca una differenza di potenziale cui fa seguito una reazione; quest’ultima diventa la dimostrazione dei progressi da ognuno raggiunti.

Sono le reazioni che ci fanno uomini e donne più o meno evoluti.

Azioni e reazioni sono intersecate fra loro, ma mentre agire è fare, procedere, compiere un’azione e per questo associato ad un atto puramente attivo, la reazione per esplicarsi ha bisogno di stasi, di riflessione, di concentrazione, (a meno che non sia ispirata da bassi istinti solamente animali).

Reazione = “Rispondere con un’azione propria ad una violenza subita”.

La valutazione dell’entità della violenza subita che produrrà l’azione opposta e determinerà lo sviluppo degli eventi futuri, dipende dal nostro stato di coscienza.

Cosa è la coscienza dunque, e come si forma visto che a lei sono assoggettati i nostri comportamenti che a loro volta sono il prodotto dell’elaborazione dei nostri pensieri?

Sostanzialmente alla coscienza si associa la consapevolezza che l’uomo ha di sé: del suo corpo, delle sue sensazioni, delle idee e delle proprie azioni miranti a fini precisi.

Vediamo quindi che le caratteristiche della coscienza sono molteplici e assumono connotazioni diverse proprio in funzione della quantità di crisi che l’individuo ha sperimentato vivendole sulla sua pelle.

Ricordiamo ovviamente la valenza che abbiamo assegnato a questo particolare stato d’animo.

Tuttavia se crisi ed elaborazione sintetica dei pensieri sono collegati fra loro, ne deriva che ogni volta per effetto di questa depurazione che elimina inutili zavorre ci si avvicina sempre più all’essenziale, al nucleo.

Ribadisco che ognuno ha le sue proprie energie e che la fatica di rompere “la corteccia saturnina” nella quale siamo immersi dipende da tutta una serie di fattori estremamente personali.

Nei casi in cui le successive trasmutazioni siano sfociate a poco, a poco verso una costante emancipazione, esse divengono la base del pensiero astratto.

Separare, allontanare, astrarre, distogliere, permette la rarefazione di ciò che è più grezzo e pesante per esaltarne la parte spirituale. La sua essenza.

Prendiamo per esempio un uovo sodo, chissà quante volte lo abbiamo fatto!

Romperne il guscio rappresenta proprio il momento in cui ad un’azione energica, più materiale se vogliamo, (ma assolutamente necessaria), ne segue una ponderata e ritmata che è quella che determina poi la trasformazione.

Analogamente ai nostri pensieri affaccendati corrisponde la prima azione: la rottura del guscio.

A quelli più contemplativi, la seconda: l’assunzione dell’uovo liberato dalla sua parte più pesante, più spessa.

Il pensiero è indissolubilmente legato alla realtà che si vive quotidianamente e si forma in base alla ricezione di ognuno.

Quando annulliamo la realtà il pensiero allora svanisce?

Privato della matrice che lo crea ha più ragione di esistere?

È una domanda la cui possibile risposta implica quale concetto abbiamo della realtà, e cosa possiamo definire tale.

Se partiamo dal nostro corpo tutto ciò che percepiamo con i cinque sensi ci da una dimensione di realtà; riesce anche a permetterci di descriverla perché visibile.

Comunque i cinque sensi reagiscono anche a realtà immateriali che provengono dalle emozioni e dagli stati d’animo che proviamo.

È vero che questi sono il frutto di esperienze vissute in contesti concreti, ma la domanda che potrebbe sorgere allora è: è nata prima la materia o il pensiero?

Ciò che è tangibile, toccabile, o ciò che non lo è?

Se sosteniamo la teoria della circolarità proprio per la sua forma non c’è ne inizio né fine per poter determinare la priorità di materia o “immateria”, se vogliamo esprimerla così.

Analizzando i testi sacri si fa riferimento ad un principio e nel vangelo di Giovanni è detto; “In principio era il verbo”.

Il principio è riferito all’inizio o è il fondamento di una scienza?

“In principio era il verbo e il verbo era presso Dio, il verbo era Dio” (alcuni testi traducono “parola”).

Il verbo è l’emissione attraverso la parola di una idea, la quale a sua volta non può che essere originata da un pensiero.

Il pensiero è colui che è all’apice della piramide, dopo c’è l’idea e dopo ancora il verbo.

Se per legge di circolarità abbiamo detto che il pensiero non può crearsi senza l’intervento della realtà, in qualunque modo si manifesti, e questa è influenzata dal pensiero: all’inizio cosa c’era?

E’ possibile che sia esistita un’energia indifferenziata che non avesse ne inizio ne fine e non fosse stata generata.

Per noi che abbiamo sotto gli occhi l’esperienza che ogni cosa nasce, vive e muore seguendo un iter lineare, è arduo accettare l’idea di eternità, cioè di non generato ma sempre esistito.

Se supponessimo solo per un attimo di aver conquistato questa consapevolezza, e a questa onnipresente energia dessimo il nome Dio, potremmo seguire un ragionamento “ Logico”.

Dio si trova immerso in se stesso, possiede quindi una potenzialità illimitata che pur essendo indifferenziata vibra. Si muove costantemente. Forse è proprio questo che identifica il concetto di eternità.

Tutto si muove continuamente e genera attrito.

Quando Dio decide di dare un senso a queste vibrazioni, emette la parola. Una parola così potente che va ad infrangersi con tutte quelle frequenze già presenti, così ognuna di esse assume una connotazione secondo lo stimolo che ha ricevuto, vi reagisce e comincia a creare.

L’apice della reazione diventa creazione.

Così Dio si auto genera, si auto conosce, si auto mette alla prova.

Tutte le creature a venire possiederanno una particella di Dio.

Questa particella però ha bisogno di urtare contro frequenze determinate dall’azione, ecco perché sono importanti le reazioni.

Noi possediamo in questo senso il libero arbitrio e la facoltà di permettere che questo incontro-scontro possa verificarsi a favore o detrimento della qualità della nostra emancipazione.

La vita di ognuno è un’esperienza continua di quanto è accaduto nel “Paradiso Terrestre” quando vi dimoravano Adamo ed Eva.

Quel timore reverenziale verso Dio e i suoi comandamenti ha in realtà una valenza di temerarietà, di osare, per non essere abbacinati da un contorno ingannevole.

Chi ci aiuta e ci sprona continuamente ad elaborare un pensiero personale ed indipendente è sempre il “Serpente”.

Esso però non si palesa più esteriormente perché ormai è giunto il tempo di acuire la nostra percezione ed intuizione, perciò egli si è nascosto, ma è sempre vigile ed operante.

Solo chi riesce ad udire il suo sibilo può seguirlo, incontrarlo ed essere morso da lui.

Solo allora potrà iniziare a mettere ordine nel proprio caos, solo allora potrà riuscire ad intuire quale è il punto di unione di tutte le cose.

Solo allora i suoi pensieri affaccendati potranno ritrovare il fluire costruttivamente verso una meta forse non ancora rivelata completamente, ma comunque già viva in lui.  

SIMEON  

 
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