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L'anello del Vescovo
(01/04/2004)

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Questa storia accadde tanti anni addietro, quando ero un bambino di dodici anni, mentre ora ho superato la sessantina.
In quel periodo trascorrevo molto tempo con mio zio, che si divertiva a fare l'investigatore privato come i detective delle serie televisive, e questa attività la svolgeva nelle ore del dopolavoro.
Successe che un giorno fu avvicinato da una monaca che si presentò come madre badessa di un convento di suore, e lo contattò per investigare sulla scomparsa dell'anello dal dito della santa reliquia del vescovo Attanasio, che era venerato in una teca di cristallo sotto l'altare maggiore della loro chiesa.
Qualche giorno dopo mio zio mi invitò ad accompagnarlo in questa avventura, cosa che accettai volentieri, perché non era la prima volta che succedeva.
Ci avviammo verso il luogo nell'ora del tramonto, bussammo al grande portone e nessuno venne ad aprire. Fu allora che scoprii tra le foglie di un'edera una corda a mo' di campanello e tirai con forza alcune volte fino a quando sentii l'eco della campanella in qualche parte del convento. Passarono alcuni attimi e il portone si aprì.
Nell'uscio apparve una suora che, senza dire nulla, ci osservò dalla testa ai piedi e quando ebbe finito ci fece un segno, come per dire "seguitemi".
Attraversammo il cortile e sopra la scalinata che conduceva alla chiesa c'era la suora badessa che disse:
- Vi stavo aspettando, entriamo ...
Scambiai uno sguardo con mio zio e la seguimmo fin dentro la chiesa. Notai che il suo vestito era bianco e aveva un cappuccio, ma a me sembrava una camicia da notte o qualcosa di simile.
Entrando nella chiesa la prima cosa che successe fu quella di doverci abituare alla semioscurità che regnava lì dentro, perché la fonte di luce erano poche candele sparse qua e là; c'era anche una specie di nebbiolina che galleggiava nell'aria, residuo del fumo dell'incenso usato nei riti, ma la cosa che mi colpì di più fu il tanfo di umidità, di muffa, di cera, di incenso e non so di che altra cosa. Mancava ancora la parte migliore, lì dentro c'era una marea di gente, preti, suore, frati, parrocchiani seduti e in piedi, come se stessero pregando ammucchiati, come in un mercato, e tutti erano vestiti di grigio e anche la loro pelle era grigia.
Capii che anche mio zio era sorpreso e mi fece un gesto con la testa e io risposi alzando le spalle. Sicuramente lì dentro c'era qualcosa di molto strano e misterioso perché il mio corpo vibrava come una corda tesa e non smetteva mai.
Lo zio, guidato dalla madre badessa, controllava la teca dove riposava quel sant'uomo del vescovo Attanasio. Tirò fuori un taccuino e una matita e cominciò a prendere appunti.
Ad un certo punto mio zio si girò e chiese alla madre badessa:
- Mi può favorire la chiave? Mi serve per controllare lì dentro.
- Non ce l'ho, rispose. Ce l'ha frate Gerundio del Monastero che si trova sopra il colle.
- Bisogna che qualcuno me la porti. Rispose mio zio.
Anche io mi avvicinai a vedere da vicino e vidi la mano, o meglio le ossa rinsecchite che rimanevano di una mano. Era ovvio che l'anello non c'era più, non c'era neanche il dito, così notai che le due falangi erano sopra il velluto dentro alla teca. Ad un certo punto la badessa disse:
- Seguitemi, andremo a prendere la chiave.
Così le nostre osservazioni furono interrotte e seguimmo la madre badessa che, invece di camminare come tutti noi, sembrava che galleggiasse nell'aria. Imboccammo un corridoio in penombra, girammo due volte fino a una specie di garage, dove si trovava un vecchio camioncino tutto grigio, con un fratacchione che guardava nel cofano, e la badessa, senza aggiungere altro, disse:
- Su, andiamo. E salì in cabina sedendosi in mezzo.
Il frate, dopo aver chiuso il cofano, si sedette al volante. Anche mio zio salì, chiudendo la porta, e io, senza indugio, montai dietro. Fece appena in tempo ad afferrarmi che si chiusero le porte e il camion partì a razzo, superò l'altro portone che era aperto e corse fra le case in direzione del colle.
Anche questo viaggio mi sembrò strano, in strada non trovammo nessuno, neanche un cane, un passante e la cosa più incredibile è che non sembrava per niente il mio paese. Mentre pensavo così il camion grigio salì sul colle, entrò nel cortile del monastero, fece il giro e ritornò indietro e in un batter d'occhio ci trovammo dentro al garage da dove eravamo partiti.
Pensai che quello che ci stava capitando era molto insolito e mi sarebbe piaciuto sapere cosa ne pensava mio zio. Sicuramente ci saremmo potuti divertire scambiando i nostri pareri. E così, rimuginando sensazioni, ci ritrovammo in chiesa. Un'altra volta quel tanfo orribile, e il pieno era invece un pienone stracolmo di persone, bambini e soprattutto religiosi. Incuriosito, domandai alla badessa:
- Madre, ormai è notte, che fa tutta questa gente qui?
La madre badessa rispose:
- Loro stanno sempre qui.
E così dicendo, senza preavviso, mi diede un bacio. Per ben tre volte un brivido percorse tutto il mio corpo. Mi passai la mano per pulire la guancia che era gelata come un pezzo di ghiaccio ed esclamai:
- Che schifo !
Mentre mio zio continuava con le sue indagini, approfittai per dare una sbirciatina in giro. Volevo vedere i visi di quelle persone, vedere i loro occhi, così mi aggirai fra quelle stranissime creature, però non successe nulla. Scoprii solo un particolare che mi lasciò di stucco. A parte le persone, c'erano nascosti fra loro dei grandi cani alani e questi ci guardavano con occhi vigili. Avevo la sensazione che i cani fossero i guardiani di tutta quella gente.
Quasi in mezzo alla navata centrale c'erano delle scale che sicuramente conducevano alla cripta, anche lì c'era un gruppo di religiosi che confabulavano a bassa voce.
Quando mi videro, uno di loro si avvicinò a me facendomi il segno di silenzio e con l'altra mano aperta mi porse l'anello scomparso del vescovo. Presi Fanello e in quell'attimo mi resi conto che quelle persone erano tutti morti, spettri, fantasmi e corsi da mio zio; volevo gridare e non ci riuscivo.
- Che ti è capitato che sei bianco come un cencio? Mi domandò mio zio.
- So... sono tutti morti questi qua! Sono spettri, scappiamo subito... gridai.
Tutti, dico tutti, si voltarono verso di noi e alcuni di quegli orribili cani ci accerchiarono impedendo la nostra fuga.
Fu un momento allucinante e la forza della disperazione venne in nostro aiuto. Come d'accordo, con uno spintone scappammo rompendo la cerchia dei cani, muovendoci sempre in cerchi e mai agli angoli, fino ad arrivare alla porta che fortunatamente si aprì e con la forza della paura in un batter d'occhio ci trovammo fuori nella strada. L'unica cosa che sentivamo erano i nostri cuori e gli ululati orribili di quei cani. Allora mi ricordai, tirai fuori dalla mia tasca l'anello del vescovo Attanasio e lo mostrai a mio zio. Lui, sgranando gli occhi, disse sorpreso:
- Dove l'hai preso?
- Me lo ha dato uno di quei fantasmi che stavano nella cripta. Risposi.
Quella sera mi girai tante volte nel mio letto e non riuscii a prendere sonno e vidi la luce del giorno pian piano filtrare dalla finestra e il canto degli uccelli mi indicò che era ora. Appena mi alzai, andai in cucina; lì c'era mio zio, che mi aspettava, e mi disse:
- Dai, andiamo a restituire l'anello al suo legittimo proprietario.
Dopo una breve colazione partimmo e, una volta arrivati, bussammo alla porta delle suore. Ci aprì una giovane e sorridente monachella che senza preamboli disse:
- Vi stavamo aspettando. Sapete, l'anello del vescovo Attanasio è stato ritrovato.
- Davvero?

Dicemmo tutti e due insieme sorpresi e sbalorditi, mentre stringevo l'anello nella mia tasca.
- Sì, venite a vedere.
E ci aprì la strada fino alla teca della santa reliquia.
Effettivamente l'anello, esattamente uguale al mio, risplendeva nella mano ossuta del vescovo. Guardai dentro la chiesa: era tutta piena di luce e profumava di mirra e incenso. Osservai mio zio e vidi che sorrideva felice e mi sussurrò che sicuramente quell'anello doveva essere per me.
Passarono moltissimi anni e conservo ancora quell'anello: sicuramente era per me e ne intuisco il motivo.

 
di Alfredo Di Prinzio

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