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Il Mito della Caverna
(21/11/2016)

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[...] "Adesso, ripresi, raffigurati la nostra natura così come essa appare riguardo all'educazione mediante il racconto che segue: immagina degli uomini in un'abitazione sotterranea a forma di caverna la cui entrata, aperta alla luce, si estende per tutta la lunghezza della facciata; son lì da bambini, le gambe e il collo legati da catene in modo che non possano lasciare il posto in cui sono, né guardare in altra direzione che davanti, perché le catene impediscono loro di girare la testa; la luce di un fuoco acceso da lontano ad una certa altezza brilla alle loro spalle; tra il fuoco e i prigionieri corre una strada elevata lungo la quale c'è un piccolo muro, simile a quei teli che i burattinai drizzano tra loro e il pubblico e al di sopra dei quali fanno vedere i personaggi dello spettacolo."

"Vedo, disse."

"Immagina adesso che lungo questo piccolo muro degli uomini portino utensili di ogni tipo al di sopra dell'altezza del muro e statuette di uomini e di animali, in pietra, in legno, di tantissime forme; e naturalmente immagina che alcuni di questi uomini parlino tra loro ed altri stiano in silenzio."

"Il tuo è un racconto proprio strano e parli di strani prigionieri, disse."

"Eppure ci somigliano, risposi. Tu pensi infatti che in questa strana situazione abbiano visto di se stessi e dei loro vicini altro che le ombre proiettate dal fuoco sulla parete della caverna che hanno di fronte?"

"E come potrebbe essere diversamente, se sono obbligati per tutta la loro vita a stare con la testa immobile?"

"E degli oggetti che passano non sarà forse lo stesso?"

"E certo."

"E allora se potessero dialogare tra loro non pensi che nominando le ombre che essi vedono crederebbero di stare parlando degli oggetti reali stessi?"

"Certamente."

"E se vi fosse un'eco che rinvia i suoni al fondo della prigione tutte le volte che uno dei passanti parla, non credi che attribuirebbero questa voce alle ombre che vedono sfilare?"

"Sì, per Zeus!"

"E non c'è dubbio, riprese, che agli occhi di queste persone la realtà non sarebbe fatta altro che dalle ombre degli oggetti al di là del muro."

"Sarebbe così per forza."

"Esaminiamo adesso come reagirebbero se li si liberasse dalle loro catene e li si guarisse dalla loro ignoranza. Secondo me le cose si metterebbero così.

Poniamo che uno di questi prigionieri fosse costretto ad alzarsi, a girare la testa, a camminare, a levare gli occhi verso la luce: tutti questi movimenti certo lo farebbero soffrire e sarebbe così abbagliato da non riuscir a vedere gli oggetti di cui prima percepiva le ombre.

Io ti chiedo che cosa potrebbe rispondere se gli si dicesse che prima non vedeva altro che vane ombre e che adesso è più vicino alla realtà e vede meglio, voltatosi verso oggetti più reali.

Che cosa direbbe se gli si facesse vedere ciascuno degli oggetti che sfilano davanti a lui, costringendolo a forza di fargli domande a dire che cosa sono? Non pensi che sarebbe imbarazzato e che gli oggetti che vedeva prima gli sembrerebbero più veri di quelli che gli si mostrano adesso?"

"Molto più veri, disse."

"E se lo si costringesse a guardare la luce stessa, non credi che i suoi occhi ne soffrirebbero e che egli tenderebbe a sfuggire e a rivolgere lo sguardo verso le cose che può guardare e che egli vede ancora realmente più distinte di quelle che gli si mostrano?"

"Certo, disse."

"E se, ripresi, lo si costringesse a forza a risalire per la scarpata aspra ed erta e non lo si lasciasse prima di averlo portato alla luce del sole, non pensi che ne soffrirebbe e tenterebbe di ribellarsi, e che una volta arrivato alla luce ne sarebbe abbagliato e non riuscirebbe affatto a vedere gli oggetti che noi adesso chiamiamo veri?"

"No, non potrebbe, disse, almeno non subito."

"Deve, ripresi, abituarsi un po', se vuol vedere il mondo superiore. All'inizio ciò che vedrebbe più facilmente sarebbero le ombre, dopo vedrebbe le immagini degli uomini e degli altri oggetti riflessi sull'acqua, dopo gli oggetti stessi; poi, elevando il suo sguardo verso la luce degli astri e della luna contemplerebbe nella notte le costellazioni e il firmamento stesso più facilmente di quanto non possa durante il giorno contemplare il sole e la luce del sole."

"Senza dubbio."

"Alla fine io credo sarebbe proprio il sole, non riflesso nelle acque o in qualsiasi altro punto, ma il sole stesso nel luogo che gliè proprio che egli potrebbe guardare e contemplare così come esso è."

"Certamente."

"E quindi ne concluderebbe che è il sole a produrre le stagioni e gli anni, che governa tutto nel mondo visibile e che in qualche modoè la causa di tutte le cose che lui e i suoi compagni vedevano nella caverna."

"E' evidente: dopo diverse esperienze arriverebbe a questa conclusione."

"Se poi gli venisse da pensare alla sua prima dimora e alla scienza che egli possedeva allora e ai suoi compagni di prigionia, non credi che sarebbe felice del cambiamento per sé e avrebbe compassione dei suoi compagni?"

"Certo."

"Quanto agli onori e ai premi che allora i prigionieri si davano l'un l'altro e alle ricompense date a coloro che erano in grado di riconoscere meglio gli oggetti che passavano, a quelli che sapevano tenere a mente più esattamente gli oggetti che di regola passavano per primi o per ultimi, e così via, e ai più abili a indovinare quelli che sarebbero arrivati credi forse che il nostro uomo ne avrebbe ancora voglia e che invidierebbe coloro che nel mondo dei prigionieri avessero onori e poteri?

Non penserebbe piuttosto come Achille in Omero, e preferirebbe cento volte essere al servizio di un povero contadino, e sopportare tutti i mali possibili, piuttosto che ritornare alle sue vecchie illusioni e vivere come viveva?"

"Sono d'accordo con te, disse; preferirebbe soffrire tutti i mali piuttosto che tornare a vivere la vita di prima."

"E immagina ancora questo, ripresi. Se il nostro uomo tornasse nella caverna e riprendesse il suo vecchio posto, non avrebbe gli occhi offuscati dalle tenebre tornando bruscamente dalla luce del sole?"

"Sì, certo, disse."

"E se dovesse di nuovo ragionare su quelle ombre e gareggiare con i prigionieri che non hanno mai lasciato le loro catene mentre la sua vista è ancora confusa e prima che i suoi occhi si siano rimessi e riadattati all'oscurità, cosa che richiederebbe un tempo molto lungo, non farebbe forse ridere e non direbbero di lui che per essere salito di sopra è tornato indietro con gli occhi malati e che non vale certo la pena di tentare la salita?

E se qualcuno tentasse di liberarli e di portarli in alto ed essi potessero afferrarlo o ucciderlo, non credi forse che lo ucciderebbero?"

"Lo ucciderebbero certamente, disse."

"Mio caro Glaucone, ripresi, adesso bisogna applicare esattamente questo racconto ai discorsi che facevamo prima.

Dobbiamo paragonare il mondo visibile alla caverna e l'effetto del sole alla luce del fuoco da cui la caverna è illuminata.

Quanto alla salita verso il mondo superiore e alla contemplazione delle sue meraviglie dobbiamo vedervi la salita dell'anima verso il mondo intelligibile.

Così tu non mancherai di conoscere il mio pensiero, perché desideri conoscerlo, e Dio sa se è vero.

In ogni caso è mia opinione che agli estremi limiti del mondo intelligibile vi sia l'idea del bene, a cui possiamo arrivare con molta fatica ma che non può essere contemplata senza concluderne che si tratta della causa universale di tutto ciò che vi è di bene e di bello; che nel mondo visibile è ad essa che si deve la luce e la fonte della luce; e che nel mondo intelligibile è questa idea a dare verità e intelligenza e che bisogna vederla per comportarsi con saggezza sia nella vita privata che nella vita pubblica." [...]  

Dal Libro VII della "Repubblica" di Platone

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