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Le Avventure di Alfredino detto Menelik -5-
(20/07/2011)

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Capitolo Nono

Le piogge, altri fenomeni e mio papà

Che allegria i giorni d’estate quando si scatenavano gli elementi: il tuono rimbombava, il cielo si oscurava, fulmini e saette schizzavano illuminando dappertutto.

Si aprivano i rubinetti del cielo e la pioggia benediva la terra arsa e secca.

Tutta la natura ne godeva, i contadini cantavano e noi bambini uscivamo mezzi nudi, scalzi, a ricevere quella grazia, a giocare con l’acqua, con il fango; a costruire canali con una zappa per far defluire l’acqua dov’era necessario che andasse.

Era un vero e proprio battesimo con l’acqua benedetta che scendeva direttamente dall’alto. Era salute, era gioia, era naturale. Era un nostro gioco.

La prima volta che mio padre mi portò dal medico dovevo avere sette o otto anni d’età, perché mi era spuntato un grosso brufolo sulla spalla; lui lo curò per bene, mi mise un cerotto e si raccomandò di riportarmi la settimana successiva per un controllo.

Credo che il poveretto ancora aspetti. Il fatto è che per un bambino, vivere a stretto contatto con madre natura, credo sia il modo migliore per crescere sano e forte.

Voi non lo credereste, ma una volta invece dell’acqua cadde dal cielo una pioggia di piccolissimi ranocchi che, appena toccavano il suolo saltellavano dappertutto; fu uno sballo incredibile e come furono apparsi nel nulla ritornarono e in un paio d’ore erano tutti spariti.

In un’altra occasione la pioggia era rossa come il sangue e tutti erano a bocca aperta davanti ad un fenomeno simile.

La cosa più ovvia, non trovando una spiegazione logica, era quella di trovare una causa sovrannaturale, anche se in realtà si poteva trovare una risposta scientifica.

In Europa c’era stata la seconda guerra mondiale e il cielo restituiva indietro tutto il sangue versato dai poveri soldati morti mentre il prete in chiesa ci raccomandava:" Pregate, fratelli!"

Altre volte grandinava che era un piacere per noi bambini, perché succhiavamo i chicchi come se fosse un gelato.

Un bicchiere pieno di zucchero e miele: quello era il gelato che ci fabbricavamo da soli.

Però la grandinata, per un agricoltore, significava un raccolto rovinato.

Allora mio padre si trasformava in una specie di sciamano, prendeva due coltelli metallici, usciva all’aperto e faceva strani passi nell’aria verso i quattro punti cardinali, recitando delle strane parole, poi deponeva a terra i coltelli incrociati e, non lo credereste, la grandine cessava immediatamente per lasciare il posto ad una pioggia torrenziale.

Io lo ammiravo, e a volte lo temevo però ero piccino per comprenderlo.

Forse oggi, a cinquant’anni dalla sua scomparsa, credo di averlo capito.

Ma allora ero una peste e lo facevo arrabbiare moltissimo, però in fondo lui mi amava e forse era proprio per la mia vivacità e intraprendenza.

Dopo le piogge abbondanti la laguna, i pantani e le cunette traboccavano di vita e gli animali erano in festa; rospi, rane, ranocchi e altre creature gracchiavano per ore ed ore.

Era un vero concerto e quel coro di felicità si moltiplicava e in ogni angolo della campagna gli animali si rispondevano.

Era un vero canto di gioia verso la madre natura per la grazia ricevuta.

Ogni anno in certe stagioni il cattivo tempo si trasformava in uragani che arrivavano generalmente di notte.

Tutta la famiglia si svegliava e mio padre e mio fratello maggiore uscivano a controllare i tiranti, che erano dei cavi di ferro attaccati agli angoli del tetto da un lato e dall’altro; erano profondamente ancorati alla terra.

Pure se tutta la casa tremava e gemeva per la foga del vento, questi tiranti erano la salvezza perché, grazie a loro la nostra casa superava degnamente la forza degli elementi.

Infatti in quegli anni non si verificò mai nessuna disgrazia, anche alcuni alberi erano stati sradicati e avevano dei rami spezzati, ma nulla di più.

Mia madre era molto pia, così quando soffiava la bufera, insieme alle sorelle pregavano la Madonna, per far calmare e cessare il vento, e quando accadeva, perché quei fenomeni generalmente non duravano più di tanto, dicevamo: "Ecco che la Madonna ci ha fatto il miracolo, il pericolo è passato."

E ringraziavano ancora e poi, con un profondo sospiro, chiudevano la faccenda.

Era la forza della fede che la aiutava a portare avanti la famiglia.

Invece mio padre pensava che quella casa fosse ben fatta, con delle fondamenta giuste e che il cattivo tempo e la Madonna non c’entravano niente l’una con l’altra.

Lui era di tempra forte.

Raccontava che era “un ragazzo del novantanove” e che a solo sedici anni fu portato insieme ad altri ragazzi al fronte a scavare trincee durante la guerra del quindici - diciotto e che quando compii diciotto anni fu arruolato come soldato semplice.

Fu ferito da una granata in combattimento e come riconoscimento gli conferirono il grado di caporale maggiore e alla fine del conflitto bellico lo congedarono con una medaglia attaccata al petto.

I suoi racconti mi affascinavano e io lo ascoltavo con interesse, diceva che era vivo per miracolo.

Questo motivò la scelta di emigrare lontano, perché aggiungeva:"Non permetterò che ai miei figli capiti quello che ho vissuto io".

Ed ebbe ragione da vendere, perché in Europa scoppiò il secondo conflitto mondiale e i miei fratelli si salvarono, però, se fossero rimasti in Italia quièn sabe ?

Una qualità rara che possedeva era quella di guarire la sciatica, ossia quella nevralgia che prende al nervo sciatico e che è fastidiosa e dolorosissima.

Quel potere gli fu trasmesso un giorno di Natale a mezzanotte in punto quando era in guerra. Così ogni tanto lo chiamavano per intervenire sulla gamba di qualcuno e sembra che se la cavasse abbastanza bene.

Ricordo che interveniva a seconda delle fasi lunari, recitando delle frasi in dialetto abbruzzese. Peccato che non riuscì a trasmettere a nessuno questa tradizione, che così si è persa…

Per tutto questo ed altro, un uragano al mio papà gli faceva un baffo…!


Capitolo Decimo

La Faina

 

Nello campagna ci sono queste piccole fattorie che lì vengono chiamate chacras, con più o meno un centinaio di ettari di terra ciascuna.

Sono al novanta per cento autonome, perché loro ricavano dalla natura quasi tutto il fabbisogno necessario per il proprio sostentamento e, se non erano italiani, erano d’origine spagnola, per lo meno in quella zona, in cui crebbi felice e forte.

La prima cosa che salta agli occhi sono le quantità di alberi intorno alle abitazioni dipinte di bianco con la calce, con un ampio pergolato coperto da vite e attorno geranei e altri fiori.

Un forno fatto con fango secco, dove cuocevano il pane casareccio che era una bontà, un pollaio, delle conigliere, delle papere, oche e tacchini, pecore, capre, mucche, cavalli  e chi più ne ha più ne metta.

Comunque, quello che ci interessa è il pollaio e anche alle faine, perché se ci sono galline in giro nei dintorni, sicuramente ci sono anche loro.

Anche noi avevamo il nostro pollaio, con un centinaio di pennuti ruspanti, che facevano la gioia di tre o quattro galli “ guerrieri” che erano sempre in lotta per mantenere e proteggere il proprio harem.

Così, prima del calar del sole, tutti, galli, galline e pulcini, rientravano nel pollaio, sotto il controllo vigile dei galli e si accomodavano nella rastrelliera secondo le loro gerarchie.

Queste galline  deponevano ogni giorno centinaia di uova ed era compito soprattutto delle mie sorelle di passare con un cesto e raccoglierle.

Poi, ogni due o tre giorni, passava il gallinero che le comperava e le rivendeva mandandole in città.

A volte qualche gallina scompariva per apparire poi portandosi dietro una marea di pulcini chiassosi, in altre occasioni non rientrava più… cosa le era successo?

I peggiori nemici di questi pennuti erano le faine che lì erano di casa ed erano assai intelligenti.

Aspettavano la notte, quando tutto erano ormai sprofondati in un sonno pesante ed entravano nel pollaio per fare una vera e propria strage.

Allora si scatenava un putiferio di strilli disperati che svegliavano tutti.

Mio papà e mio fratello si armavano di pali e con pile ed altri lumi andavano a vedere, ma ahimè, in queste occasioni era già troppo tardi: decine di galline giacevano dissanguate con il collo spezzato.

In alcuni casi le faine gli mangiavano anche il petto, poi passavano alla successiva e così via.

Mentre noi bambini cercavamo dappertutto; si perlustrava nei dintorni, però questi animali insieme alle volpi erano considerati i più furbi del regno animale, così solo il cane riusciva a seguire le loro tracce, scomparendo e poi ritornando stanco e con le orecchie abbassate.

Non ci restava altro che rimettere ordine, togliere i resti insanguinati, chiudere per bene tutto e tornare a dormire. Per lo meno avremmo mangiato pollo in tutte le salse per svariati giorni.

In mattinata non si parlava d’altro e quando ebbi finito la prima colazione il mio papà mi disse se me la sentivo di perlustrare i dintorni e di individuare la tana, perché con tutta sicurezza non doveva essere lontano dal loro territorio di caccia.

E così, armato di un bastone più alto di me, accompagnato da Macchia e da Aurora, uscii in avanscoperta.

Perlustrammo  palmo a palmo ogni luogo tutto intorno; infilammo il bastone nei buchi, e cercammo e cercammo e arrivati al punto di arrendersi Macchia fiutò e cominciò a seguire una traccia.

Fremeva ed era tutto tirato e si diresse verso un albero solitario e, arrivato sotto, guardò in alto e comincio ad abbaiare girando intorno e guardando un alto.

"Ecco, ci siamo" disse Aurora tutta eccitata.

Sopra all’albero c’era una cassa di legno dove i piccioni facevano il loro nido.

Pensai che forse Macchia si era confuso seguendo una falsa pista, però l’unica cosa da fare era guardarci dentro.

Chiesi a Macchia di fare la guardia, mentre io e Aurora andammo a prendere la scala di legno.

Di ritorno appoggiai la scala e salii, mentre Aurora la teneva ferma, arrivato in cima era più alto del previsto, così infilai la mano e toccai qualcosa di peloso, ritirando il braccio  immediatamente, vidi un muso peloso che digrignava i denti e soffiava e il sangue mi si gelò nelle vene dallo spavento.

Era il muso della faina, e poi apparve un’altra faina ed entrambe mi ringhiavano e mostravano i denti appuntiti.

Aurora mi incitava a scendere mentre Macchia, che aveva visto, abbaiava disperato, così con quattro salti toccai terra e dissi ad Aurora di correre e di chiamare il mio papà e di venire subito, mentre io e Macchia restavamo di guardia.

Mentre aspettavo le due faine uscirono dalla tana e rimasero sopra ai rami.

Una, la più grossa di sicuro, era il maschio e l’altra era la femmina, perché sopra alla spalla, attaccati alla coda, c’erano sei piccolissimi cuccioli.

Sicuramente pensarono che se rimanevano lì, per loro non ci sarebbe stato più scampo, così decisero il da farsi: la migliore cosa da fare era la fuga e così fecero.

Per primo saltò il maschio, mossa intelligente perché si portò dietro Macchia, scomparendo entrambi nel campo di mais.

Mentre la compagna dall’alto studiava i miei movimenti, spiccò un salto atterrando con i suoi cuccioli sopra proprio davanti a me, mi guardò e fuggì con il suo prezioso carico, perdendosi anche lei nel campo seminato.

Io non mi sono mosso, pure se potevo assestarle una mazzata e fermarla.

Non ebbi il coraggio, quando poi arrivarono di corsa mio papà ed Aurora, ormai non c’era più nulla da fare.

Macchia ritornò con qualche graffio e la testa bassa, però della famiglia di faine neanche l’ombra.

L’unica cosa che ci restò d fare fu quella di far cadere la cassa dall’albero per evitare che vi rientrassero; così facemmo, poi tornammo a casa. 

Mio papà, intuendo il mio disagio, mi consolò dicendo: "Non preoccuparti, nella vita si vince e si perde però questo non conta, forse la prossima volta andrà meglio".

Ma in cuor mio ero felice che quella famiglia di faine si fosse salvata, così dissi ad Aurora raccontandole dei cuccioli e forse fu proprio quello che mi fece commuovere inchiodandomi nel prato.

Dopotutto aggiunsi, che in fin dei conti le galline sono tonte e anche stupide e ridemmo felici tutti e due.

 

 

-Continua nel prossimo numero-



di Alfredo Cellini Lupetto

 

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