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Le Avventure di Alfredino detto Menelik -4-
(20/05/2011)

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Capitolo settimo

La Luce cattiva o Luz mala 

La prima volta che vidi la Luz Mala, fenomeno strano ed inspiegabile, ero in braccio alla mia mamma e dovevo avere si e no tre o quattro anni.

Queste luci o fenomeni luminosi che si manifestavano in quelle campagne, venivano chiamate così e chi aveva la sventura di incappare in un simile avvistamento si faceva il segno della croce, invocava santi e madonne e correva a perdifiato senza voltarsi o semplicemente se la faceva sotto dalla paura.

La gente del posto non trovando una spiegazione ragionevole del fenomeno lo attribuiva al Diavolo in persona e il solo parlarne faceva drizzare a tutti i capelli sulla testa.

Per altri si trattava delle anime dei morti ammazzati nel vecchio fortino in rovina, dove un centinaio di anni prima c’era stata la guerra tra soldati e Indios per il territorio.

Questo era il motivo principale per cui si pensava ai morti.

Invece altri ancora confondevano quelle luci potentissime con i fuochi fatui, cosa che invece non poteva essere perché questi fuochi erano semplici fiammelle che si alzavano a malapena sopra la terra in terreni acquosi e cimiteri, generati dalla combustione di sostanze animali e vegetali in putrefazione.

Un’altra considerazione era che in nessun modo potevano essere provocate dall’uomo stesso, perché non c’era ancora una fonte di energia così potente da provocare questi fenomeni.

In quasi tutte le fattorie c’erano mulini a vento che utilizzando la forza eolica producevano elettricità.

Caricavano batterie in serie e con queste davano quel poco di corrente per l’illuminazione e per elettrificare il recinto dei maiali, così questi, ogni volta che volevano scappare, avvicinandosi ai fili della recinzione, prendevano una scossa potente e rimanevano buoni.

Ogni tanto, quando succedeva, le povere bestie lanciavano un orripilante lamento di dolore; comunque quel voltaggio era del tutto insufficiente per dare uno spettacolo del genere e men che meno per fulminare un maiale.

Io ero molto piccolo per capire il bene e il male, ma certo quello spettacolo mi attirava moltissimo.

Quella sera fui svegliato per assistere al meraviglioso fenomeno della Luz Mala che per me non era per niente mala, anzi, tutto il contrario, perché mi piaceva e mi attirava e rimasi imbambolato davanti a tanta bellezza.

Queste luci, perché non si trattava di una, ma di varie, bianchissime e potenti, scivolavano nel cielo con movimenti che sembravano intelligenti.

Salivano e scendevano, si univano, scomparivano ed apparivano nuovamente, si avvicinavano ed allontanavano.

Era un vero spettacolo di luci e colori.

Poi com’era iniziato finiva e tutta la famiglia, che aveva assistito in silenzio e con un nodo in gola per la meraviglia, si faceva il segno della croce e senza nessun commento si ritirava a riposare e, forse, a sognare trascendenze.

Queste apparizioni accadevano sporadicamente e non solo una volta, ma parecchie, diventando un fatto del tutto naturale.

«Avete visto le luci ieri sera? Erano bellissime e più colorate del solito». Commenti simili erano del tutto normali il mattino dopo. Però nessuno ormai si domandava cosa fossero, perché era ovvio che si trattava di qualcosa di spirituale e trascendente.

Passarono tanti anni da allora e quel ricordo rimase sepolto nell’archivio della mia memoria fino a quando da grande fui richiamato a vivere lo stesso fenomeno, non in quel luogo, ma nella provincia di Cordoba. Però questaè un’altra storia, che cambiò completamente la mia interiorità e la mia vita.

Capitolo ottavo

La Vendetta 

Il poliziotto del nostro villaggio, che era chiamato “il vigilante” era proprio di lì.

La sua carnagione era un po’ scura, come era naturale per i nativi del luogo.

Era magro, di statura normale e sempre in divisa color cachi in estate e azzurra in inverno.

I bottoni metallici e tutto il resto era lucido a specchio, incluso il distintivo, gli speroni, le fibbie, l’elsa dello spadone, che era così lungo che la punta toccava terra.

Portava una pistola tipo colt dentro alla fondina e il rebenque in mano, come un prolungamento del suo arto, pronto a prendere a rebencazos chi non rispettava le sue regole.

Montava sempre a cavallo e raramente scendeva dalla bestia, e dalla sua altezza dominava tutto il panorama, ogni movimento dei gauchos e dei contadini, che bevevano nel boliche e giocavano a bocce.

La sua presenza imponeva rispetto, per lo meno agli occhi di un bambino, anche perchè non lo vidi mai ridere e credo che fosse dolce solamente con suo figlio Oscar che adorava e forse, forse anche con la sua compagna.

Con Oscar, pure se aveva un paio di anni più di me, ogni tanto giocavamo insieme.

Lui tutti i giorni andava a scuola con il suo grembiulino bianco con un fiocco azzurro a pois bianchi mentre io ancora no, perché li si iniziava a sette anni compiuti.

Fra noi due c’era un fatto che non mi andava giù e che non comprendevo e che nessuno mi aiutava a capire, che consideravo una grande ingiustizia e non mi rassegnavo ad accettare; perché il giorno della Befana, che lì da noi erano i tre re Magi, a lui arrivassero fior di regali, mentre a me soltanto una saponetta per lavarmi le orecchie.

Anche Aurora trovava nelle sue scarpette il regalo che aveva chiesto con una letterina; invece le mie due sorelle ed io delle banalità e delle nostre richieste neanche l’ombra.

Allora, con le lacrime agli occhi mi appartavo a fare un resoconto dell’ultimo anno, in cosa avessi sbagliato, come mi fossi comportato, se avessi mancato di rispetto ai miei genitori, ecc… finalmente parlando con Aurora e Oscar mi resi conto in che cosa avessi mancato nei confronti dei miei genitori; così non mi rimaneva altro da fare che aspettare un anno intero per correggere il mio errore.

Tutto il segreto si trovava nella preparazione del luogo d’accoglienza, dei tre re e dei loro cammelli.

Oscar mi confidava che la notte prima, insieme con il padre, avevano preparato acqua e biada per i cammelli, una bottiglia di vino rosso con tre bicchieri per i re Magi, del pane ed un biglietto di ringraziamento per l’anno successivo firmato“con amore,Oscar”e che addirittura lui aveva trovato in terra le impronte degli zoccoli dei cammelli, che avevano mangiato e bevuto tutto, facendo anche la cacca.

Io rimasi meravigliato e affascinato e mi ripromisi che il prossimo sei gennaio avrei superato Oscar nei preparativi.

Gli avrei fatto vedere io come si fa…

Quell’anno fu più lungo del solito e natale non arrivava mai mentre io fremevo per l’impazienza.

Cosi con calma feci scrivere la mia letterina di richieste a mia sorella più grande, in cui chiedevo solo un triciclo più grande, ringraziavo, promettendo che avrei avuto un comportamento esemplare per tutto l’anno.

L’indirizzo dei re Magi è l’oriente e lì la indirizzai, e feci scrivere il nome di tutti e tre: “Signori re Magi, Gasparre, Melchiorre e Baldassarre”.

Scrissi il mittente “Celeste Menelik” e la diedi a mio fratello maggiore per imbucarla.

Finalmente arrivò il cinque gennaio e quella sera chiesi aiuto alle mie sorelle, così insieme preparammo biada, acqua, pane, vino, biscotti e uno yogurt, qualche frutto e un biglietto di ringraziamento e con la speranza nel cuore andai a letto.

Non ricordo quando mi addormentai e se mi addormentai, ma è certo che appena aprii gli occhi saltai dal letto e corsi fuori dove mi aspettava un’amara sorpresa e un enorme delusione.

Tutte le cose che avevamo sistemato erano intatte, solo un pacco appoggiato sopra le mie scarpette richiamò la mia attenzione.

Bè, pensai che un regalo c’era.

Aprii il pacco e dentro trovai quattro ruote di legno con un buco al centro ed un bigliettino con la scritta:“Tricicli non ce n’erano più, però con queste ruote potrai costruire quello che vorrai…”

C’era anche un dentifricio, uno spazzolino, caramelle e un pacco di matite colorate.

Mangiai qualcosa e corsi da Oscar che era al settimo cielo; infatti aveva trovato addirittura una bicicletta, dei vestiti, scarpe…

Però quel giorno di tanti anni fa, anche io ricevetti, oltre alle ruote, un altro meraviglioso regalo!

Ebbi l’enorme fortuna di svelare il mistero e di conoscere personalmente i re Magi!

Poi, Oscar pedalava di qua e di là e sicuramente sviluppò benissimo i suoi polpacci, mentre io con martello, seghe, chiodi e legno costruivo carretti, li legavo a Macchia, che disperato correva facendo a pezzi la mia opera, che poi ricostruivo nuovamente modificandola.

Dopo un po’ Oscar si stancò della bici e cominciava ad usarla raramente, mentre io continuavo a martellare e creare.

Passò del tempo e quel giorno ero vicino a mio padre, quando vidi Oscar venire verso di noi, scendere dalla bici, poggiarla ad un albero, e mollarmi un pugno in un occhio, scappando poi via di corsa.

Io mi sciolsi in lacrime di rabbia più che di dolore.

Anche mio padre era preoccupato e mi chiese cosa avessi fatto al mio amico.

Io non gli avevo fatto nulla, giurai.

Ero indignato, perché non ricordavo di averlo offeso; soprattutto ero ferito nel mio orgoglio e mio padre mi promise che avrebbe parlato con il padre di Oscar; ma dopo qualche giorno dimenticò tutto, ma io no, anzi… tutto il mio corpo chiedeva vendetta e studiai un piano per mettere in atto la mia vendetta.

Oscar doveva percorrere un sentiero alberato non molto lontano da casa per andare e tornare tutti giorni a scuola.

Così quel giorno lo vidi che, saltellando spensierato e allegro andava a scuola con il grembiule bianco.

Quando il viale stava per finire mi armai di un bel mattone e salii sopra un albero, aspettandolo.

Ricordate che lui aveva almeno due anni più di me e ad affrontarlo diversamente le avrei sicuramente prese di nuovo; così attesi con pazienza fino a quando imboccò il sentiero.

Quando fu sotto di me lasciai cadere il mattone che colpì di striscio la sua testa ferendolo.

Piangendo e sanguinando corse verso casa sua e io subito scappai verso la mia; però mi resi conto immediatamente di aver esagerato e mi chiusi in camera da letto.

Dopo qualche minuto udii il galoppo di un cavallo che si fermò proprio davanti casa.

Era il vigilante, ossia il padre di Oscar che discuteva con il mio; dopo un po’ si calmarono, poi mio padre mi chiamò alcune volte, ma io non mi mossi ne risposi: non ero mica matto!, e dopo un tempo che mi sembrò lunghissimo si stancarono e sentii il suo cavallo che si allontanava.

Allora mio padre mi parlò avvicinandosi alla porta chiusa:«Figliolo, capisco quel che hai fatto e perché lo hai fatto. Sai, sei stato esagerato, perché lo potevi ammazzare, e agire così non era la maniera giusta.

Adesso puoi uscire e stai tranquillo, non ti punirò».

Giorni dopo seppi che gli avevano messo otto punti e dopo qualche settimana giocavamo nuovamente insieme come se nulla fosse accaduto con la differenza che lui portava il segno della mia vendetta mentre io, il mio occhio e il mio ego si erano sgonfiati completamente.

 

-Continua nel prossimo numero-

 
di Alfredo Cellini Lupetto

 

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