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ORO - Una favola alchemica
(20/07/2008)

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Un uomo e una donna camminavano nell'erba alta;

erano entrati in quella valle da uno stretto passaggio, la roccia era stata tagliata da un antico popolo.
Quella strettoia passava di fianco ad un piccolo ruscello che si riversava in quella strana e particolare piccola valle, era rimasta intatta dalla smania dell'uomo di modificare a suo beneficio l'ambiente.

Forse per la sua peculiare conformazione, un imbuto stretto, con quel suo ingresso così scuro ed angusto, delimitata da un lato da una ripida ed ostile parete di tufo, dall'altro da un declivio fittamente ricoperto da un bosco di antiche querce e intricati muri di ginestra, si apriva degradando pian piano fino al mare e, nonostante la vicinanza di grandi centri abitati, era una rara oasi poco conosciuta ed ancora intatta.

La coppia affondava le gambe in quel mare verde che, nonostante il sole già caldo di fine maggio, manteneva al suo interno, proteggendola con la forza di milioni di steli stretti uno all'altro, una umidità ancora ricca della vitalità della primavera.

Erano entrati chiacchierando allegramente, piacevolmente eccitati da un infantile fantasia di avventura, che quel luogo isolato ed intatto sapeva ancora ispirare.

Camminavano piano, ma a mano a mano che procedevano, il bisogno di commentare le emozioni per il colore improvviso di un fiore, od il profumo intenso delle erbe che calpestavano, lasciava spazio ad un silenzio stupito e contemplativo.

Lentamente la primordiale percezione di quella ancestrale bellezza li esentava dalla necessità, così mentalmente umana, di raccontare la realtà per esser certi dei propri sensi.

Erano stati plagiati da quel silenzio così rumoroso: migliaia di insetti vibravano creando la base di un caotico concerto, squillava il canto improvviso di un merlo, mentre le note basse della tortora davano il tempo.

La pace di quel luogo andava coprendo e soffocando il mulinare dei loro pensieri che in modo ossessivo occupavano ogni spazio delle loro menti, abituate da sempre a fuggire dal proprio silenzio.

Costeggiando il torrente, scendevano la valle, il sole alto scaldava i loro corpi e si insinuava nei loro cuori; camminavano piano, un rumore come di acqua mossa si avvicinava e li attirava in quella direzione.

Il torrente spariva all'improvviso in una profonda ferita del terreno, sorgente di quel magnetico rumore, curiosi accelerarono il passo e seguendo i margini dell'orrido, trovarono un sentiero che, stretto e tortuoso,si inoltrava nella  macchia che ricopriva i fianchi della gola.

La vegetazione fitta ed ombrosa impediva loro la vista, ma il rumore sempre più forte indicava loro la strada, finalmente in fondo, un largo spazio sabbioso delimitava un piccolo laghetto in cui precipitava in fragorosa cascata l'acqua del ruscello.

Spettacolo violento ed inaspettato,nella quiete di quella passeggiata, rapì la loro attenzione completamente.

Attratti da quella forza esplosiva, si tolsero le scarpe, arrotolarono i pantaloni ed entrarono in acqua avvicinandosi più che poterono alla causa del loro stupore.

Con il naso all'insù meditavano sull'elemento acqua che costeggiando il torrente avevano visto così placido nelle piccole piane, ora allegro e saltellante tra i sassi rideva in piccole spume ma, attirato in  quel ineluttabile spacco della terra, esplodeva in una impressionante dimostrazione di forza caotica e travolgente.

Forza travolgente che entrando nel laghetto ritrovava subito la pace, la percepivano lieve fluire tra le gambe.

Una sensazione di freddo umido li scosse da quella contemplazione, l'acqua nebulizzata dalla forza del salto,come impalpabile mantello, li aveva completamente avvolti e infradiciati; e allora ridendo corsero verso il sole, prima forte e quasi aggressivo ora rigenerante tepore.

Al sole, tra l'erba, un sano appetito ricordò loro del piccolo spuntino che avevano portato nello zainetto; poche semplici cose, del pane, uova sode, ed alcune olive.

Masticavano lentamente ed era strano che tra il profumo di quell'erba, niente potesse essere più saporito di quella povera merenda.

Appagati e piacevolmente assonnati, guardavano il lento scorrere di piccole nuvolette bianche, finché la loro attenzione fu attratta dal lento e placido volo di una coppia di falchi.

Un volo senza fatica, senza un battito d'ali, planavano in larghe volute da una corrente all'altra, signori assoluti del cielo dominavano da quell'altezza tutta la valle ed ogni suo abitante. 

Le volute si fecero sempre più strette e basse, in una spirale discendente sopra le teste di quei due rapiti osservatori, ma ora lo spettacolo li costrinse a mettersi seduti, giravano velocemente la testa per seguire quel che adesso era un vorticoso roteare fatto di improvvisi incroci e picchiate.

Stupito delle proprie stesse parole l'uomo si sorprese nel salutare a gran voce quei due magnifici uccelli: ”Fratello falco io ti saluto e ti benedico”.

Giù in picchiata ed eccoli a terra, a pochi metri davanti a loro.

Il maschio imponente e maestoso dondolava sulle grosse zampe, allargava l'attaccatura delle ali senza schiuderle e questo gli dava un aspetto ancora più possente, avanzava ora su quelle zampe poco adatte a camminare ma questa andatura seppur goffa non toglieva nulla alla sua regalità.

Lo stupore era troppo forte per poter pensare all'assurdità di quella scena e quando l'uomo si trovò  a pochi palmi quel regale uccello, senza intenzione allungò lentamente una mano.

Il palmo era girato verso l'alto, quasi un invito, fu un lampo e il possente becco colpì leggermente quelle dita, il terrore bloccò ogni reazione, di nuovo il becco si abbassò ma ora lentamente, teneva dolcemente quel dito mentre con la grossa e ruvida lingua raccoglieva una piccola goccia di sangue.

Ora erano veramente fratelli.

Indietreggiò ora il falco, girava la testa di qua e di là come a cercare qualcosa sul terreno, s'inchino e raccolse un piccolo sassolino bianco e lo pose su quel palmo ancora teso.


Tornò quindi al fianco della compagna che cominciò a muoversi ma diversamente,con fare più gentile, aggraziato.

La donna allora, affascinata ma con timore e paura allungò una mano un poco tremolante e a quell'invito la regina dell'aria rispose strofinando la testa possente su quelle dita, quasi una carezza.

Anch'ella cercò a terra e trovatolo posò su quella piccola mano un sassolino rosso scuro, un attimo ancora e poi in esplosione d'ali non c'erano più.

Troppo ciò che era stato per lasciar loro parole e pensieri, si abbracciarono e rimasero così, senza tempo.

Il sole che si nascondeva dietro le colline li risvegliò da quel torpore e sciogliendosi da quell'abbraccio scoprirono che i sassolini, nel calore delle loro mani giunte, si erano trasformati in una piccola sfera d'oro.
  

 

                                                           Ad Iside

 

                                                                                                                           

 
Horus

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