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L'Apocalissi Ermetica (terza parte)
(15/06/2006)

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Io avevo acconsentito a tentare nuove prove per giungere al labirinto. Ci mettemmo dunque in  marcia e prendemmo la strada che conduce al bianco.

A una certa distanza trovammo una scala di sette gradini e il fanciullo mi disse di  salirvi.

Quando fui su la cima, vidi sotto di me alcuni uomini che lavoravano e la cui opera precedeva molto lentamente.

Discesi dalla scala in una maniera nota, e raggiunsi il fanciullo.

Camminammo ancora per qualche ora. A qualche passo da me, scorsi un uomo armato che sembrava custodire qualche cosa di prezioso in una cassetta sulla quale era seduto.

La mia piccola guida mi fece sapere che dovevo dargli battaglia, vincerlo o perire. Per  rianimare il  mio coraggio egli prese del balsamo da una scatoletta, e  mi unse i piedi, le mani, la fronte.

Dopo questa operazione, mi gettai sull'uomo armato e lo abbattei subitamente.



Impadronirmi delle sue armi e colpirlo, non fu che un istante. Il mio primo movimento fu d'aprire la cassetta: e non fui poco sorpreso nel trovarvi il mantello che avevo dimenticato nel padiglione.  Dopo essermene coperto, ritornai dalla mia guida e la ringraziai nuovamente.

Camminammo verso il labirinto che non tardammo a scoprire.

Presso il muro, il fanciullo mi disse nuovamente «addio », e così ancora una volta fui solo.

Lo stesso imbarazzo per scegliere tra le sette porte quella attraverso la quale dovevo entrare. Mi presento alla prima che vedo.

Busso; non si apre. Chiamo: nessuno risponde.

Mentre mi disponevo a bussare di nuovo, vidi un venerabile vecchio montato sopra un cammello.

Il vegliardo e il suo seguito, che era molto numeroso, vennero verso di me. Uno dei suoi uomini mi avvicinò, mi consegnò una chiave e mi fece segno di aprir loro la porta. Obbedii. Tutti entrarono, e io li seguii.

Richiusi la porta e restituii la chiave a colui che me l'aveva data.

Noi passammo allora in una gran piazza triangolare ove erano due colonne.



Il vecchio discese dal suo cammello. Allora fu condotto presso la prima colonna ove fu legato e ucciso in un solo istante.

Tutto questo mi colpi e mi fece fremere. Mi vidi, senza volerlo, complice di un delitto orrendo. Ma ciò che mi spaventò di più fu quando quegli assassini si gettarono su me, mi afferrarono e mi posero sul cammello.

Non appena fui messo su questo animale, tutti gli uomini uscirono dalla piazza, e io restai solo col cammello. Allora mi affrettai a ridiscendere a terra per soccorrere il vegliardo che era stato ferito poco prima sotto i miei occhi. Tagliai i lacci che l'attaccavano alla colonna, ed esaminai le sue ferite: ma ebbi il dolore di vedere che tutte le mie cure sarebbero ormai state vane.

Notai pertanto che egli aveva un distintivo alla bottoniera dell'abito, e credetti  dovermene impadronire.

Quel segno mi fece nascere l'idea di fare più ampie ricerche. E le ricerche non furono inutili: mi impadronii infatti di certi titoli i quali mi provarono che quell’infelice vecchio era stato vittima del fanatismo e della superstizione.

Mentre scorrevo le carte di cui ero entrato in possesso, un leone furioso si getto sul cammello che  mi stava a fianco, e ne fece preda in pochi momenti. Io credetti opportune lasciar la piazza, e senza riflettere sulla strada che dovevo prendere, seguii la prima che vidi.

Camminai cosi per sette giorni  e sette  notti, in mezzo a un fumo  assai denso. Ero come avviluppato in una nube. E giunsi a una piazza esattamente rotonda.

Ma non potei fermarmici, perchè dal suo centro si sprigionava ogni momento una folla di scintille che mi obbligava a non lasciare la circonferenza del cerchio.

Or mentre mi disponevo a passare più lontano, un essere che non devo nominare mi venne incontro dicendomi di rimettergli  il mio mantello. Obbedii.  Egli lo porto nel centro di cui ho parlato poco anzi, e il mantello fu ridotto in cenere. Questa cenere mi fu consegnata chiusa entro un flacone e mi si avverti di averne cura.

Continuai lamia strada.  Ma la distesa di quel labirinto era talmente vasta che io vedevo sempre davanti a me delle strade che sembrava non dovessero più finire.

Finalmente vidi una specie di grotta che   non   osai   visitare quando  intravidi un   leone verde a   qualche distanza dall'entrata. Benché avessi molto desiderio  di riposarmi, la prudenza mi impose di andare più lontano.

Ecco un fico su la mia strada. Prendo tre fichi un uccello rapace me li disputa : lo uccido.



Strappo  nove penne all'uccello, le  fisso  tra  i miei capelli, e proseguo il mio cammino.

Scopro un palazzo la cui porta era aperta: mi ci presento. Numerosi valletti mi avvicinano, e mi dicono che sono pronti a darmi tutto quello che potrei desiderare. Rispondo molto bruscamente che desidero riposo. Mi dicono che e impossibile trovarlo nel paese in cui cammino; E mi si tennero tali discorsi che quasi mi pentii di essere entrato in quel labirinto.

Non tardò a presentarsi il  padrone di casa, il quale mi interrogò sui casi miei. E dopo alcune domande necessarie, mi condusse in una camera ove vidi immensi tesori.

Colpito dalla quantità d'oro che era la  dentro, ebbi la debolezza di desiderarne una parte: ma non avevo neppur finito di formulare entro me stesso il mio  desi­derio, che oro, padrone, valletti, palazzo, tutto disparve.

A questa magica rivoluzione, si produsse un mutamento   involontario   in tutta la  mia persona:   e l’emozione fu generale perchè non c'ero preparato. Tutto il mio essere fu agitato contemporaneamente dalla meraviglia, dalla paura e dal terrore: e in  questi moti diversi le piume che mi ero messe nei capelli caddero e non appena toccata la terra si mutarono in colonne enormi: ce n'erano nove: ed erano cosi disposte  che io mi trovavo rinchiuso tra loro senza poterne uscire.



Queste colonne   erano coperte di iscrizioni.  Vi lessi cose meravigliose. Appresi grandi verità. E benedissi l’Altissimo  per tutto ciò che   operava  a beneficio   della mia istruzione.

Una sola iscrizione mi  riuscì inintelligibile.  La lessi e rilessi senza comprenderla. Orbene, gli sforzi che facevo allora per trovarne  il  senso   erano molto  inutili, perché dovevo ancora conoscere altri misteri prima di essere nel numero degli eletti.

Il tempo che dovevo passare in mezzo a quelle colonne era fissato.

[Ed io] avevo troppo da meditare, per mormorare contro la mia cattività. Un giorno l'aurora apparve più brillante del solito, il calore dell'aria fu più forte, le colonne non poterono sopportare l'ardore dei raggi del sole; e come il ghiaccio si fonde quando finisce l'inverno, cosi disparve la mia prigione, e fui libero.

FINE TERZA PARTE

 

(tratto dal libro "Il gran libro della Natura" a cura di V. Soro - Ed. Atranor)

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