home kuthuma@kuthumadierks.com
_ Home
Iside e i suoi amanti
News
Operatività
ERKS
Rubriche (Archivio)
Links
__________________
Visite:

versione stampabile

La leggenda dei tre maghi che hanno visitato la Grande Volta e scoperto il centro dell'Idea
(15/03/2006)

Untitled Document

Hiram

Molto tempo dopo la morte d'Hiram e di Salomone e di tutti i loro contemporanei, dopo che gli eserciti di Nabucodonosor ebbero distrutto il regno di Giuda, rasa al suolo la città di Gerusalemme, abbattuto il Tempio, condotto in cattività le popolazioni sfuggite ai massacri, mentre il monte Sion non era più che un arido deserto dove pascolavano magre capre custodite da beduini famelici e predatori, un mattino, tre viaggiatori arrivarono al lento passo dei loro cammelli.

Erano tre Maghi, Iniziati di Babilonia, membri del Sacerdozio Universale, che venivano in pellegrinaggio e in esplorazione alle rovine dell'antico Santuario.

Dopo un pasto frugale, i pellegrini cominciarono a percorrere la cinta devastata. I resti delle mura e i fusti delle colonne permisero loro di determinare i limiti del Tempio. Poi esaminarono i capitelli giacenti al suolo, raccolsero le pietre per scoprirvi iscrizioni o simboli.

Mentre erano intenti a questa esplorazione, sotto un'ala di muro rovesciata e in mezzo ai rovi scopersero uno scavo.

Era un pozzo situato all'angolo sud-est del Tempio. Dopo aver sgomberato l'orifizio, uno di essi, il più anziano, quello che sembrava il capo, distesosi prono a terra sul bordo, guardò all'interno.
Si era a metà del giorno, il "Sole brillava allo zenit" e i suoi raggi cadevano quasi verticali sul pozzo. Un oggetto brillante colpì lo sguardo del Mago. Chiamò i suoi compagni che si misero nella sua stessa posizione e guardarono. Evidentemente, c'era un oggetto degno di attenzione, senza dubbio un oggetto sacro. I tre pellegrini decisero di impossessarsene. Sciolsero le cinture che portavano attorno alle reni, le attaccarono l'una all'altra e ne gettarono un'estremità nel pozzo. Due di essi allora, inarcandosi, sostennero il peso di colui che scendeva. Questi, il capo, afferrata la corda, disparve attraverso l'orifizio. Mentre egli discende, andiamo a vedere quale era l'oggetto che aveva attirato l'attenzione dei pellegrini. Per far questo, dobbiamo risalire parecchi secoli addietro, sino alla scena dell'assassinio di Hiram.

Quando il Maestro ebbe ricevuto, davanti alla porta d'Oriente, il colpo di leva del secondo cattivo Compagno, fuggì per raggiungere la porta del Sud; ma mentre vi si precipitava egli temette, sia di essere seguito, sia, come doveva accadere, di incontrare un terzo cattivo Compagno. Si tolse il gioiello che portava appeso al collo con una catena di settantasette anelli, e lo gettò nel pozzo che si apriva nel Tempio, all'angolo dei lati Est e Sud.

Questo gioiello era un "Delta" di un palmo di lato fatto di purissimo metallo, sul quale Hiram, perfetto iniziato, aveva inciso il nome ineffabile e che portava con sé, il diritto internamente, il rovescio solo esposto agli sguardi, mostrando una faccia liscia.

Mentre discendeva, aiutandosi con le mani e i piedi, nella profondità del pozzo, il Mago constatò che la parete era suddivisa in zone o anelli fatti di pietre di differenti colori di circa un cubito d'altezza ciascuno. Giunto in basso, contò le zone e vide che erano dieci. Abbassò allora lo sguardo al suolo, vide il gioiello di Hiram, lo raccolse, lo guardò e con emozione scoprì che portava scritta la parola ineffabile che egli stesso conosceva, poiché era un iniziato perfetto. Affinché i suoi compagni che non possedevano come lui la pienezza dell'iniziazione, non potessero leggerlo, egli sospese il gioiello al collo con la catenella, mettendo il diritto dentro, come aveva fatto il Maestro.

Poi guardando attorno a sé, constatò l'esistenza nel muro di una apertura attraverso la quale poteva penetrare un uomo. Egli vi entrò, camminando a tastoni nell'oscurità. Le sue mani incontrarono una superficie che egli giudicò essere di bronzo. Allora tornò indietro, raggiunse il fondo del pozzo, avvertì i compagni di tener salda la corda e risalì.

Nel vedere il gioiello che ornava il petto del loro capo i due Maghi si inchinarono dinanzi a lui; avevano intuito che egli aveva ricevuto una nuova consacrazione. Il primo raccontò ai suoi compagni quanto aveva visto, parlò della porta di bronzo. Pensarono che doveva esservi un mistero, così deliberarono e risolsero d'andare insieme a scoprirlo.

Misero una estremità della corda fatta con le tre cinture sopra una pietra piatta giacente presso il pozzo e sulla quale si leggeva ancora la parola "Jachin". Vi fecero rotolare sopra un fusto di colonna in cui ancora si poteva vedere la parola "Boaz", poi si assicurarono che, tenuta così, la corda potesse sopportare il peso di un uomo.

Due di essi fecero un "fuoco sacro" per mezzo di un bastoncino di legno duro sfregato tra le mani e ruotante in un buco fatto in un pezzo di legno tenero. Quando il legno tenero fu acceso, vi soffiarono sopra per provocare la fiamma. Nel frattempo, il terzo era andato a prendere, nei fagotti appesi alla groppa dei cammelli, tre torce di resina che avevano portato per allontanare gli animali selvaggi dai loro accampamenti notturni. Le torce furono avvicinate l'una dopo l'altra al legno acceso e anche esse si accesero del fuoco sacro. Ciascun Mago, con una torcia in mano, si lasciò scivolare lungo la corda sino in fondo al pozzo.

Una volta laggiù, essi si addentrarono, sotto la guida del loro capo, nel corridoio che conduceva alla porta di bronzo. Giunti dinanzi alla porta, il vecchio Mago l'esaminò con attenzione alla luce della torcia. Constatò, al centro, l'esistenza di un ornamento in rilievo a forma di "corona reale", attorno alla quale era un cerchio composto di punti in numero di "ventidue".

Il Mago si immerse in profonda meditazione, poi pronunciò la parola Malkuth e subito la porta si aprì.

Gli esploratori si trovarono dinanzi a una scala che si sprofondava nel suolo; vi si introdussero, sempre con la torcia in mano, contando gli scalini. Quando ne ebbero disceso"tre", trovarono un ripiano triangolare, sul lato "sinistro" del quale cominciava una nuova scala. Si introdussero per questa e, dopo cinque scalini, trovarono un nuovo ripiano dalla stessa forma e stesse dimensioni. Questa volta, la scala continuava dal lato "destro" e si componeva di "sette" gradini.

Attraversato un terzo ripiano, essi scesero "nove" scalini e si trovarono dinanzi a una seconda porta di bronzo.

Il vecchio Mago l'esaminò come la precedente e notò l'esistenza di un altro ornamento in rilievo rappresentante una pietra angolare, circondata da un cerchio di ventidue punti. Egli pronunciò la parola Iesod e la porta si aprì.

I Maghi entrarono in una vasta sala a volta e "circolare", dalla parete ornata di nove nervature che partivano dal suolo per incontrarsi in un punto centrale della sommità.

Essi l'esaminarono alla luce delle torce, ne fecero il giro per vedere se non vi fossero altre uscite oltre a quella per cui erano entrati. Non trovandone, pensarono di ritirarsi; ma il loro capo ritornò sui suoi passi, esaminò le nervature l’una dopo l'altra, cercò un punto di riferimento, contò le nervature e subito chiamò. In un angolo oscuro aveva scoperto una nuova porta di bronzo. Questa aveva per simbolo un "Sole raggiante", sempre iscritto in un cerchio di ventidue punti. Dopo che il capo dei Maghi aveva pronunciato la parola Netzah, la porta si aprì dando accesso in una seconda sala.

Successivamente, gli esploratori attraversarono cinque altre porte ugualmente dissimulate e passarono in nuove cripte.

Sopra una di queste porte, c'era una "Luna risplendente", una "testa di leone", una "curva molle e graziosa", un "regolo", un "rotolo della legge", un "occhio" e, infine, una "corona reale".

L'albero della vita Cabalistico

Le parole pronunciate furono successivamente Hod, Tiferet, Hesed, Geburah, Chochmah, Binah, e Kether.

Quando entrarono nella nona volta, i Maghi si fermarono sorpresi, abbagliati, spaventati.

Questa non era immersa nell'oscurità; al contrario, era brillantemente illuminata. Al centro stavano "tre lampadari" alti "undici cubiti" a tre bracci. Queste lampade che bruciavano da secoli, delle quali la distruzione del regno di Giuda, lo spianamento di Gerusalemme, la distruzione del Tempio non avevano provocato l'estinzione, brillavano di vivo splendore, illuminando con una luce dolce e intensa a un tempo tutti gli angoli, tutti i particolari della meravigliosa architettura della volta senza pari tagliata nella viva roccia.

I pellegrini spensero le torce di cui non avevano più bisogno, le depositarono presso la porta, si tolsero i calzari e raggiustarono le capigliature come in un luogo santo, poi avanzarono inchinandosi nove volte verso i giganteschi lampadari.

Alla base del triangolo formato da questi era preparato un altare di marmo bianco "cubico" alto due cubiti. Sulla faccia, verso il vertice del triangolo, erano rappresentati, in oro, gli utensili della Massoneria: il "Regolo", il "Compasso", la "Squadra", la "Livella", la "Cazzuola", il "Maglietto". Sulla faccia laterale sinistra, si vedevano le figure geometriche: il "Triangolo", il "Quadrato", la "Stella a cinque punte", il "Cubo". Sulla faccia laterale destra, si leggevano i numeri: 27,125,343,729,1331. Infine sulla faccia posteriore, era rappresentata l’"Acacia simbolica". Sull'altare era posata un’"agata" di tre palmi di lato; sopra, si leggeva, scritta a caratteri d'oro, la parola "Adonai".

I due Maghi, discepoli, si inchinarono, adorarono il nome di Dio; ma il loro capo invece, alzando la testa disse: "E' tempo per voi di ricevere l'ultimo insegnamento che farà di voi degli Iniziati perfetti. Questo nome non è che un vano simbolo che non esprime realmente l'"idea della Concezione Suprema".

Allora prese con le due mani la pietra d'agata, si voltò verso i discepoli dicendo loro: "Guardate, la Concezione Suprema, eccola. Siete al "Centro dell'Idea".

I discepoli compitarono le lettere Jod, He, Vau, He e apersero la bocca per pronunciare la parola, ma egli gridò: "Silenzio! è la parola ineffabile che non deve uscire da nessun labbro".

Poi posò nuovamente la pietra d'agata sull'altare, prese il gioiello del Maestro Hiram che aveva sul petto e mostrò loro che vi erano incisi gli stessi segni.

"Sappiate ora", disse, "che non fu Salomone a far scavare questa volta ipogea, né a costruire le otto che la precedono, nemmeno a nascondervi la pietra d'agata. La pietra vi fu messa da Henoc, il primo di tutti gli Iniziati, l'Iniziato Iniziante, che non morì affatto, ma sopravvisse in tutti i suoi figli spirituali. Henoc visse a lungo prima di Salomone, anche prima del Diluvio. Non si sa in quale epoca vennero costruite le otto prime volte e questa scavata nella roccia viva". In quel mentre i nuovi grandi Iniziati distolsero l'attenzione dall'altare e dalla pietra d'agata, guardarono il cielo della Sala che si perdeva ad altezza, prodigiosa, percorsero la vasta navata nella quale le loro voci suscitavano echi ripetuti. Arrivarono così dinanzi a una porta, accuratamente dissimulata e sulla quale il simbolo era una "vaso spezzato". Essi chiamarono il Maestro e gli dissero: "Aprici anche questa porta, deve esserci dietro un altro mistero". "No", rispose questi, "non si deve aprire questa porta. C'è un mistero, ma è un mistero terribile, un mistero di morte". "Oh, tu vuoi nasconderci qualcosa, serbarlo per te; ma noi vogliamo saper tutto, noi stessi apriremo questa porta".

Allora essi pronunciarono tutte le parole che avevano inteso dalla bocca del Maestro; poi, dato che queste parole non producevano alcun effetto, pronunciarono tutte quelle che passarono loro per la testa. Stavano per rinunciare, quando l'uno di essi disse: "Non possiamo tuttavia continuare all’"infinito".

A questa parola, En Soph, la porta si aprì con violenza, i due imprudenti furono gettati a terra, un vento furioso soffiò nella volta, le lampade magiche si spensero.

Il Maestro si precipitò alla porta, e inarcandosi, chiamò i discepoli in aiuto: questi accorsero alla sua voce, si inarcarono come lui, e con i loro sforzi riuniti, riuscirono a chiudere la porta.



Ma le luci non si accesero più, i Maghi furono immersi nelle tenebre più profonde. Si riunirono alla voce del Maestro. Questi disse: "Ahimè! questo terribile avvenimento era da prevedere. Stava scritto che voi avreste commesso questa imprudenza. Eccoci in gran pericolo in questi luoghi sotterranei ignorati dagli uomini. Cerchiamo tuttavia di uscirne, di attraversare le otto volte e d'arrivare al pozzo per il quale siamo discesi. Teniamoci per mano, cammineremo finché non troveremo la porta d'uscita. Ricominceremo in tutte le sale finché non saremo arrivati ai piedi della scala di ventiquattro scalini. Speriamo di arrivarci".

Così fecero. Passarono ore d'angoscia, ma non disperarono. Arrivarono ai piedi della scala di ventiquattro scalini. Li salirono contando 9,7,5 e 3 e si trovarono in fondo al pozzo. Era "mezzanotte", le stelle "brillavano nel firmamento"; la corda delle cinture pendeva ancora.

Prima di far risalire i Compagni, il Maestro mostrò loro il cerchio tagliato nel cielo dalla bocca del pozzo e disse: "I dieci cerchi che abbiamo visto discendendo rappresentano pure le volte o archi della scala; l'ultima corrisponde al numero "undici", quella dalla quale è soffiato il vento del disastro, è il cielo "infinito" con i "luminari fuori della nostra portata che lo popolano".

I tre Iniziati raggiunsero la cinta del Tempio in rovina; fecero rotolare di nuovo il fusto di colonna senza vedervi la parola "Boaz", sciolsero le cinture, se le rimisero, salirono in sella; poi, senza scambiarsi una parola, immersi in profonda meditazione sotto il cielo stellato, nel silenzio notturno, si allontanarono al passo lento dei cammelli, in direzione di Babilonia.

Anonimo
(tratto dal libro "Simbologia Massonica" di Bouchet)

Tutti gli articoli presenti sul sito sono liberamente scaricabili e riproducibili in qualunque forma.
Si richiede solamente di citarne la fonte.