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Il dono (seconda parte)
(15/11/2005)

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Vieni con me adesso. Voglio mostrarti una cosa”. Le sorrise nuovamente  e allungò una mano. Chiara la prese con la sua e all’improvviso si sentì avvolta in una  calda  e trasparente bolla. Era dentro la sfera luminosa insieme a Tecla e non le lasciava la mano: la teneva saldamente e con fiducia. Il paesaggio sommerso era cambiato: c’erano alcune rocce la cui superficie era ricoperta da
piante acquatiche fra le cui foglie nuotavano branchi di pesci.
La sensazione di calore sparì e Chiara comprese che la bolla era svanita. Si ritrovò nuovamente nell’atmosfera umida e fresca del fondo lago. “Ecco, siamo arrivate”. Tecla allungò un braccio in direzione di alcune piante davanti alle rocce e con la mano scostò quelle che nascondevano l’ingresso di una grotta. Immediatamente ne uscì un branco di pesci spaventati dall’improvviso ingresso della luce che aveva illuminato l’altrimenti oscuro antro, che passarono guizzando vicinissimi ai loro corpi.

“Ecco Chiara, lì dentro c’è la Grotta del Vero.
Ora, dovrai fare una scelta: decidere se restare per sempre in fondo a questo lago, oppure entrare dentro e percorrere la via che ti riporterà a casa tua. Se scegli di rimanere qui, potrai vivere in questo mondo sommerso e ovattato dove sarai in balia delle correnti; dove di ogni cosa che deciderai non sarai completamente responsabile. L’Acqua può manifestare tutta la sua potenza e la sua furia diventando un elemento incontrollabile che travolge e distrugge tutto; altrimenti può apparire calma, avvolgente, rassicurante come una madre col suo bambino.
Ma, se vorrai tornare in superficie, potrai crescere e fare della tua esistenza, una vera Vita.
A te la scelta!”
Chiara rimase a pensare un po’ e rifletté: “Non mi dispiacerebbe restare qui; in fondo si sta bene, così coccolati…però lassù ci sono tante cose che non conosco”. Si sentiva come la Sirenetta della favola di Andersen, che scelse di sacrificare la sua bellissima voce, per un paio di gambe al posto della coda di pesce, pur di vivere nel mondo degli umani. Questo pensiero la fece decidere. “Vado dentro la grotta e torno a casa mia”. Rivolse il suo sguardo a Tecla: “Cosa devo fare?” “Bene! Non avevo dubbi che avresti scelto con saggezza”, rispose la messaggera. “Devi solo seguire la via che ti mostrerà la verità. Di più non posso dirti; ora spetta a te essere la protagonista della favola che hai scelto di vivere: ma se accetti un mio consiglio, fa in modo di essere sempre sincera e onesta con te stessa. Cerca la luce e tutto il resto sarà in più”.
Detto questo, Tecla si portò entrambe le mani alla fronte da dove staccò la fulgida pietra, che nella conca dei suoi palmi ora brillava, più fievolmente, di una luce azzurrina. Tese le braccia verso Chiara e disse: “Prendila, ora può essere tua. Questo è il dono del Lago. Sappine fare buon uso ed essa ti guiderà alla ricerca della tua stella interiore.”
Chiara percepiva un universo di sensazioni che non sapeva e non poteva esprimere; la sua gioia era al culmine. Era al tempo stesso sorpresa e onorata di quel regalo. Ne comprendeva l’importanza e con quanto Amore si stava offrendoglielo.
La messaggera lasciò scivolare la pietra tra le mani della ragazza, poi la guardò negli occhi e con il suo bellissimo sorriso sparì in un’esplosione di luce. Non c’era più e Chiara non l’aveva neanche ringraziata a causa del rapido succedersi degli eventi così travolgenti.

Guardò la pietra tra le sue mani: era grande come una conchiglia ma senza una forma ben precisa e scintillava di quella luce azzurra che irradiava tutto intorno a lei. Le sembrava di essere contenuta dentro una sfera dello stesso colore; sentiva il tepore di quell’irraggiamento e la cosa la consolò. Del resto, era rimasta sola e se voleva tornare a casa, prima che i suoi genitori stessero in pensiero per lei, doveva entrare nella grotta e cercare la via. Mise la pietra nel cavo di una mano, ne strinse il pugno attorno e si avvicinò alla vegetazione che si lasciava cullare lenta dalle correnti; scostò alcune piante con la mano libera e scoprì l’antro, come poco prima aveva fatto Tecla. Era una  stretta fenditura, ma sufficientemente grande per lasciar passare una persona alla volta e appena fu dentro si fermò affinché i suoi occhi si abituassero alle tenebre improvvise che si manifestano sempre passando da un luogo illuminato ad uno più oscuro. Di lì a poco la sua vista si fece più nitida: si trovava all’imboccatura di un cunicolo non molto stretto, ma non abbastanza alto per procedere camminando e leggermente rischiarato dalla luce che filtrava dalle rocce. Era un ambiente così affascinante! C’erano piccoli branchi di pesci che andavano e venivano guizzando tra le rocce che aprivano il varco da entrambi i lati. Visto che non poteva camminare, la ragazza decise che avrebbe nuotato e per fortuna era in grado di farlo e cosa ancora più importante, poteva respirare. E poi, se voleva tornare, quello era l’unico modo, non aveva alternative. Nuotando come le rane, avrebbe sempre  potuto sondare ciò che  aveva davanti e con la pietra sempre stretta nel pugno, dai cui spiragli fra le dita usciva la luce azzurrina, distese il suo corpo in avanti e nuotò seguendo un branco di pesciolini che guizzava davanti al suo viso.
Nei punti più oscuri, durante il tragitto, bastava aprire la mano e la pietra rischiarava l’ambiente in modo sufficiente per capire il percorso. Ad un certo punto, vide, a pochi metri davanti a sé, la fine del cunicolo perché l’acqua cambiava colore diventando più chiara e trasparente. Con poche bracciate era fuori dalla galleria, trovandosi in un posto più rischiarato. Nuotò verso l’alto e all’improvviso fu con la testa fuori dall’acqua: era al centro di una caverna abbastanza grande che conteneva quella piscina naturale di acqua dolce. Volgendo intorno il suo sguardo, si accorse di una piccola spiaggia di ciottoli che raggiunse con pochi sforzi. Uscì dall’acqua e si rese conto che l’aria nella caverna era calda e umida; in breve tempo fu asciutta. Doveva certo essere una grotta che si trovava dentro le colline circostanti e il cui accesso era possibile solo dal fondo del Lago. “E ora che faccio?” Non c’erano sentieri da seguire.

Improvvisamente risuonò nella sua testa la voce di Tecla che ripeteva: “Cerca la luce! Cerca la luce e tutto il resto sarà in più!” Mentre si guardava intorno, si rese conto che la roccia aveva una colorazione rosso-bruna e che al tatto risultava tiepida; ora che ci pensava, anche l’acqua della piscina era temperata e di un bellissimo turchese trasparente; forse si trattava di una sorgente termale. Guardò poi in alto e fu allora che si accorse di un fascio di luce che scendeva da un’apertura circolare della volta: sembrava il riflettore di una scena teatrale che illumina l’attore sul palcoscenico, seguendone ogni movimento. “Ecco la luce” pensò sorridendo. “Ma come ci arrivo lassù?” Iniziò a camminare nella direzione del fascio e mano a mano che avanzava, sentiva distintamente il suono dello scroscio di una cascata. Finalmente, dietro un gruppo di rocce, la vide: era una cascatella non molto alta che precipitava la sua acqua da una fenditura della volta e finiva nella piscina: doveva sicuramente trattarsi della sorgente che alimentava il Lago.

Camminando più svelta, si avvicinò. Alla base della cascata c’era una grande pietra nera levigata e resa lucente dall’acqua che eternamente la bagnava e sulla quale scendeva il cono di luce che aveva visto pochi minuti prima. Ma cosa c’era sopra la pietra? Da quella distanza non distingueva bene, doveva avvicinarsi ancora: Entrò nell’acqua, perché la pietra ne era in parte dentro e mentre avanzava non credeva ai suoi occhi. Lì sopra c’era un bambino o una bambina! “Non è possibile”, pensò. Cosa faceva lì un bambino? Aprì la mano e la pietra sfolgorò la sua luce illuminando tutta la scena. Sì, era proprio un bambino, anzi per la precisione, una bambina nuda che dormiva in posizione fetale sopra quella pietra nera e con la pelle color...color… Era azzurra! Proprio come la sua pietra. Chiara salì sulla pietra e la guardò: come era bella nel suo sonno sereno e con le labbra leggermente atteggiate ad un soave sorriso. Forse sognava e il suo sonno era popolato da fate, da nuvole dorate e chissà che altro. La guardò a lungo, con i morbidi capelli a boccoli che le incorniciavano il viso paffutello e le palpebre chiuse con le lunghe ciglia.
Fu più forte di lei; allungò una mano e le carezzò una gota soffice e liscia. A quel tocco la bambina aprì  istantaneamente gli occhi e la guardò. Erano occhi grandi  e così neri e vellutati che Chiara ci si poteva specchiare e vedere nitida l’immagine del suo corpo.

In un momento ebbe evidente tutta   la sua vita fino a quel momento; si rivide bambina, poi ragazzina, ebbe memoria dei momenti felici vissuti e dei piccoli dolori sopportati, di tutte le domande senza risposta, delle risate , dei momenti  di lacrime, delle speranze, delle delusioni…
Guardò ancora in quegli occhi neri e l’immagine che le venne restituita fu quella della bellezza e dell’amore che una ragazza  come lei poteva contenere. Comprese.
Comprese che quella bambina era la verità della sua pura essenza, era la sua stella interiore, era la sua forza, il suo coraggio, la sua volontà; era, sé stessa! La Grotta del Vero le aveva rivelato il suo segreto: c’è un bambino di luce che dorme in ogni essere umano ed il suo risveglio fa riscoprire in sé stessi lo Spirito Divino.
In quel momento in cui le fu chiaro questo, la bambina, sempre senza dire una parola, ma continuando a guardarla, si alzò in piedi dal posto dove poco prima dormiva beatamente, una piccola conca scavata nella nera roccia, come una culla e indicando a Chiara il centro della conca, le fece capire che era lì che doveva andare a sedersi, proprio alla base del cono di luce. Quando la ragazza ebbe eseguito quanto indicatole, la bimba dagli occhi vellutati le prese la mano che racchiudeva la pietra azzurra, gliela aprì e con il minuscolo indice la toccò; a quel tocco la pietra intensificò il suo splendore e la bambina sparì al suo interno.
Chiara non aveva ancora avuto il tempo di rendersi pienamente conto di quel prodigio, che sentì sotto di sé una sensazione di caldo-umido che la spingeva verso l’alto avvolgendola interamente in una spirale e che la faceva salire, salire…salire. Chiuse gli occhi per godere fino in fondo di quella sensazione di trasporto e annullamento totale e le fu chiaro che ora era diventata una giovane donna…”

La luce del sole filtrava attraverso le stecche delle persiane chiuse, come a voler forare ad ogni costo quell’unico baluardo tra l’intensità del chiarore esterno e la stanza ancora immersa nell’ombra, perché qualcuno aveva spento la luce dell’abat-jour, che era l’ultima traccia di una notte ormai trascorsa che aveva inesorabilmente lasciato il posto alla luminosità del giorno. Un raggio di sole più ardito degli altri, colpì il viso di Chiara, che ormai sveglia, godeva di quel  magico momento che sta  tra il sonno notturno e la consapevolezza di essersi riappropriati delle facoltà fisiche. Quel particolare momento in cui sollevando le palpebre, gli occhi si impadroniscono della realtà che li circonda e abituandosi alla penombra, riconoscono i dettagli della stanza, mentre le membra intorpidite dalla staticità delle posizioni del sonno, per un riflesso incondizionato si allungano e si tendono a recuperare il senso di elasticità.

Fu proprio  allora che Chiara ricordò il sogno meraviglioso che aveva fatto quella notte; riaffiorò alla sua mente in tutti i suoi dettagli.
Nello stirare le membra, si era resa conto di avere i pugni chiusi, allora li aprì e vide nel palmo di una mano, una pietra azzurra e luminosa. Cosa? No, non poteva essere, quello era stato un sogno, uno stupendo sogno. Invece, la pietra era lì nella sua mano, poteva toccarla e sentirne la  levigatura e la perfetta rotondità. Nel sogno le era apparsa informe, ed ora era una sfera scintillante fra le sue dita.
Buttò giù dal letto le sue gambe snelle e si diresse verso lo specchio appeso ad una parete  della stanza; il riflesso le restituì l’immagine di una bellissima donna con i capelli lunghi e morbidi e dagli occhi neri e vellutati. Istintivamente si portò con la mano, la pietra alla bocca e la baciò con gratitudine; fu a quel punto che al di là della sua immagine nello specchio, vide il volto stupendo di Tecla che le
sorrideva. Il dono del Lago non era stato un sogno e una piccola lacrima di gioia le brillò lungo una guancia.

FINE

 
Nefer Isis

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