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Il dono
(15/10/2005)

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Nella casa immersa nel sonno, regnava la pace del riposo. Le uniche finestre illuminate debolmente dalla luce schermata dell’abat-jour sul comodino, erano quelle della stanza di Chiara che si era addormentata abbandonata sul suo letto, bella dei suoi vent’anni. I lunghi capelli castano-dorati sparsi sul cuscino, le braccia e le gambe nude, che fuoriuscivano dalla corta camicia da notte di mussola bianca, lasciavano trapelare la morbidezza delle membra prigioniere del sonno. Un leggerissimo e quasi impercettibile movimento del tessuto, seguiva il ritmo del suo respiro e dei seni che si alzavano e abbassavano. Tutto era armonia in quella notte di mezza estate. La lieve brezza notturna faceva gonfiare le tende delle finestre aperte della stanza, come le vele di un’imbarcazione che lenta scivola sulle onde, seguendo una rotta dettata dalle costellazioni che come miriadi di lampadine, rischiarano l’oscurità. Su dal giardino il coro dei grilli era il solo suono che rompeva il silenzio di quella notte stellata e senza luna e dalle aiuole saliva il dolcissimo profumo dei gelsomini in fiore.

Dietro le palpebre  serenamente chiuse, Chiara stava sognando…


“Il sentiero si snodava salendo leggermente la china della collina nella luce di un caldo pomeriggio d’estate. Un sottile vento le ondeggiava fra i capelli ed il suo corto abito; le lunghe gambe snelle seguivano agili l’inerpicarsi del viottolo.

Tutto intorno, fin dove arrivava lo sguardo, la vegetazione era quella tipica mediterranea: arbusti di mirto, rovi di more, cardi di campo, dai quali salivano gli inconfondibili aromi della menta e del finocchio selvatico.

Ma dove andava quel viottolo, si domandava Chiara. Era proprio curiosa di saperlo. Non le era chiaro come era arrivata fin lì e soprattutto perché. Forse vi si trovava in vacanza. Ma si sa i sogni hanno una loro particolare sceneggiatura e prendono vita nei recessi della mente, suggeriti e diretti da magistrali registi posti negli angoli più reconditi della memoria per riaffiorare, una volta svegli, in puntuali momenti e comunicare precisi messaggi.

Doveva sapere quale era la meta di quel suo salire. Non le pesava assolutamente sentirsi un po’ accaldata e nonostante il calore del sole, non aveva neppure il desiderio di bere. Sentiva come se una forza invisibile la stesse dirigendo verso un preciso luogo; come se avesse un appuntamento con qualcuno.

Guardava avanti a sé mentre procedeva e nel cielo azzurro e limpido, il disco del sole era ancora alto e luminoso. Si sentiva felice, bella, giovane, forte, parte integrante di quel luogo, che pur deserto, le inebriava i sensi, quasi a cibarsene.

D’un tratto si rese conto che il sentiero cominciava a discendere. La vegetazione intorno si era arricchita di arbusti di ginestre fiorite il cui profumo riempiva l’aria e già qualche grillo sperduto dietro ai fili d’erba, iniziava il suo instancabile cri-cri. Con il suo sguardo sempre diritto davanti a sé, intravide tra i cespugli un balugino argenteo su un fondo azzurro più intenso del cielo: era acqua. Chiara sapeva che no era mare. Avanzò più in fretta perché l’dea dell’acqua le mise addosso un desiderio di frescura e dopo pochi minuti si ritrovò in cima ad una scarpata; il sentiero era terminato. Al di sotto di questa c’era un bellissimo lago azzurro dove il sole si specchiava restituendo dalla superficie bagliori argentati. Era una vista stupenda. Non era un lago molto grande, sembrava uno zaffiro incastonato nel verde delle colline che lo circondavano, le cui  acque calme e limpide le diedero un’immediata voglia di tuffarsi.

Si avvicinò al bordo della scarpata e guardò giù. Non era molto alto, ma lei non si era mai tuffata. Qualcosa dentro le diceva che doveva farlo, che sarebbe andato tutto bene.

Si tolse quindi l’abito e le scarpe di tela, guardò nuovamente giù, chiuse gli occhi e si lasciò andare nel vuoto a braccia aperte come in un volo d’uccello. In quei pochi attimi in cui rimase sospesa tra la terra e lo specchio d’acqua, provò l’ebbrezza del volo col totale annullamento del peso del suo corpo che si lasciava  andare richiamato dalla forza di gravità terrestre. Ad un tratto, capì di forare la superficie acquosa con la testa ed immediatamente dopo, tutto intorno  a sé, braccia, tronco, gambe, piedi, sentì l’acqua avvolgerla completamente nel suo abbraccio.
Aprì gli occhi nella trasparenza di quell’azzurro dove il suo corpo si muoveva sinuoso. Era una sensazione così bella:fluttuare proprio come un pesce padrone del suo elemento naturale. Il pensiero la fece sorridere: era felice. Così felice non lo era mai stata.

Era ancora sott’acqua. Ma come faceva a resistere senza respirare, si chiese. Ormai dovevano essere diversi minuti che si trovava lì sotto. Non era morta, di questo era certa: si sentiva così viva. Ma allora? Si fermò un attimo e notò davanti a sé delle bollicine che uscivano dal suo naso, seguendo un determinato ritmo, il ritmo dei suoi polmoni. Ma…ma stava respirando! Come era possibile, pensò. Gli uomini non possono respirare sott’acqua senza l’ausilio di opportune bombole d’ossigeno. Eppure era proprio così! Si guardò intorno un po’ stupita. L’iniziale euforia aveva lasciato il posto ad una certa sorpresa; no, non aveva paura, però non capiva.

Ad un tratto in mezzo alla vegetazione che cresceva sul fondo, vide uno scintillio, come una sfera luminosa. Dapprima sembrava piccola, ma mano a mano che si avvicinava, cresceva di diametro e quando le fu molto vicina aveva  ottenuto dimensioni umane. Gli occhi di Chiara percepirono all’inizio, solo l’intensità della sfera, ma da così vicina, la luce si era affievolita e la ragazza vide davanti a sé una donna. Era una donna vera! Da non credere. C’era un altro essere umano che come lei aveva deciso di tuffarsi là sotto?

La guardò: era meravigliosa! Il suo volto bellissimo incorniciava due occhi verde smeraldo, così trasparenti che sarebbe stato possibile guardarci dentro come attraverso una lente. Il suo sguardo era sereno e armonioso, ma allo stesso tempo deciso e sicuro. Le labbra morbide erano dischiuse in un sorriso dolce e materno, ma anche divertito. I lunghissimi capelli bruni, così lunghi da accarezzare perfino gli arbusti acquatici solleticandone le foglie, erano cosparsi di miriadi di goccioline, in ognuna delle quali c’erano tutti i colori dell’iride: sembravano diamanti.

Al centro della sua fronte sfavillava una pietra così lucente che abbagliava gli occhi. Il suo corpo flessuoso e perfetto nelle forme, era rivestito di un abito fluorescente. Non aveva un colore definito. Ora sembrava turchese, ora invece era smeraldino… no, aspetta, era indaco… poi, viola come un velluto. Le stava addosso come se facesse parte della sua pelle. Chiara non poteva smettere di guardarla tanto era stupenda. D’improvviso sentì dentro la sua testa, il suono di una voce dal timbro caldo e rassicurante che diceva: “ Benvenuta! Ti stavo aspettando”. Sapeva perfettamente che chi stava comunicandole quelle frasi, era quell’ essere, anche se le  sue labbra non si muovevano per formulare le parole, anzi erano rimaste atteggiate allo stesso dolcissimo sorriso.

“Ma chi sarà?” Pensò Chiara. Di ritorno al suo pensiero, sentì nuovamente quella voce nella sua testa: “ Il mio nome è Tecla, LA LUCENTE. Sono la messaggera del regno di tutte le acque”. “Comprendo quello che mi dice” rifletté Chiara. “Certo”, disse la voce, “questo è il modo di comunicare del nostro regno: telepaticamente come direste voi terrestri. L’acqua non permette l’uso delle parole, perché il suono non può propagarsi senza l’aria. Noi ci esprimiamo attraverso la forma pensiero che è anche più rapida e meno faticosa.” Chiara percepì come il suono di una risata cristallina; la guardò e anche a lei venne da ridere.

“Posso respirare sott’acqua pur non avendole bombole d’ossigeno, come un sub. Come è possibile?” Tecla le rispose: “Vedi piccola mia, il genere umano nei nove mesi di gestazione nell’utero della madre, si trova immerso nei liquidi che ne permettono la sopravvivenza durante la sua formazione, prima della nascita. Il feto respira pur essendo nell’acqua. Quando viene alla luce, i polmoni del neonato sono in grado di immagazzinare l’aria del nuovo ambiente di superficie ed il suo primo vagito è l’espressione di questa sua capacità. Ma, un neonato è ancora capace di respirare immerso nell’acqua. I vostri scienziati lo hanno recentemente scoperto, poiché le narici sono provviste di membrane che chiudono i condotti all’esterno. Durante la sua crescita e il conseguente sviluppo fisico, questa capacità viene perduta e l’uomo non può più respirare sott’acqua. L’acqua resta per l’uomo un elemento comunque importante. Senza di essa non ci sarebbe la vita. Il corpo umano è composto per la maggior parte di acqua: pensa al sangue, alla saliva, al sudore, agli umori sessuali. Ognuna di queste manifestazioni è generata da speciali stati emozionali”. Chiara ascoltava con profondo interesse e cercava  di tenere sgombra la sua mente da ogni pensiero che potesse interferire con la fluidità delle spiegazioni di Tecla. “Tutte le emozioni” continuò la donna, “sono acqua e il loro insieme costituisce quella che voi chiamate  ANIMA”. “L’anima è immortale”, pensò la ragazza. “o così  dicono le religioni”. “Nooo!” Rispose Tecla. “Questo è l’errore che ha portato per secoli e secoli, l’umanità ad allontanarsi dal Creato. L’anima è mortale, come lo è il corpo. La vera essenza umana è contenuta  nel corpo che vive grazie all’anima, ai cinque sensi, alle emozioni. Nascere, nutrirsi, crescere, dormire, amare, invecchiare e poi…morire. E cos’è la morte? E’ la mancanza di percezione dei cinque sensi delle emozioni dei liquidi. Questa mancanza dà l’illusione della morte. Poniamo il caso che potessi  perdere improvvisamente la vista, l’udito, il tatto, il gusto, l’olfatto e che fossi consapevole di tale perdita,ma sapessi di essere comunque viva, non saresti morta. Continueresti la tua vita con una percezione più sottile della materia. Saresti uno Spirito! Ecco, quello è immortale.”


“Ooooh!” si stupì Chiara. Questi erano concetti del tutto nuovi per lei. “Lo Spirito è la manifestazione del Divino, non è una prerogativa umana!” “Ma l’uomo è divino”. Le rimandò Tecla. “Ogni più piccola parte della Creazione è un ologramma del Tutto, sia nell’infinitamente piccolo, come nell’immensamente grande. E lo Spirito è contenuto nel corpo dell’uomo: è un piccolissimo atomo di luce che brilla nel mezzo di ognuno e che attende solo di essere attivato”. “Attivato? Vuoi dire che è come se dormisse sempre e che deve essere, diciamo, risvegliato?” “Esattamente”. “ E come si fa a svegliarlo ?” Sorrise Chiara, mentre pensava a quell’atomo come al protagonista di un fumetto: una sferetta luminosa che dormiva sdraiata in un lettino minuscolo e che aveva accanto un piccolissimo comodino dove stava un altrettanto piccolissima sveglia che ticchettava e che con il suo squillo lo avrebbe destato dal suo sonno altrimenti eterno! Era un’immagine veramente divertente. Si rese conto che a quel suo pensiero anche Tecla rideva divertita. “Sei una giovane con un senso dell’umorismo molto vivace ed hai anche capacità d’immaginazione. Molto bene! Beh, diciamo che per risvegliare l’atomo divino occorre innanzi tutto non avere paura dell’ignoto, di ciò che apparentemente è sconosciuto: la paura è il  grande freno dell’umanità. Poi sono necessari tanta fede e una costante forza di volontà per imparare a conoscersi a fondo. Tu ragazza mia, hai dimostrato di possedere queste tre qualità. Sei arrivata fin qui con tanta volontà; ti sei tuffata nel lago avendo fede nel buon esito del tuo lancio e non hai avuto paura. Questo è il motivo per cui riesci a respirare in questo ambiente che non ti è del tutto confacente! Impara a conoscerti a sapere chi è la vera Chiara, cosa vuole dalla sua vita, per fare in modo che  quel piccolo atomo possa diventare una gigantesca stella interiore.

FINE PRIMA PARTE

 
Nefer Isis

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