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Akhenaton l'iniziato - 6
(15/06/2005)

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Tutto il popolo di Akhenaton stava vivendo un momento magico perché, nella realizzazione della città “Orizzonte di Aton”, si concretizzava il sogno del faraone, nel quale egli aveva visto il Disco d'Oro volteggiare in mezzo a mille faville dorate.


Era un piacere enorme vedere la manovalanza lavorare felicemente come bambini che giocano. Così, giorno dopo giorno, la città cresceva e nuova gente arrivava da ogni dove per essere partecipe di quel grande rinnovamento. Contemporaneamente Akhenaton, ispirato da Aton stesso, voleva lo stesso rinnovamento anche per gli Egiziani, che si erano come ammuffiti seguendo la vecchia religione. Il faraone sapeva benissimo che era necessario stuzzicare la mente del popolo con nuove prospettive, onde evitare che si “addormentasse”.

L'egiziano è un creativo, un grande costruttore e la sua mente è annaffiata dal sangue degli dei; perciò Akhenaton pensava trattarsi di un suo dovere dare questa possibilità alla sua gente e la città di Akhetaton era una ragione per vivere e manifestare tutto il potere del suo popolo.

Un giorno, mentre tutto ciò si avverava, Akhenaton parlando con il giovane sacerdote Tensti disse: “Sai, Tensti, qual è l'elemento che spinge le persone a fare le cose?”

“Non saprei”, affermò Tensti. “Ebbene, questo elemento è il fuoco” –rispose Akhenaton, e continuò- “Vedi Tensti, se ti tocchi sentirai che la tua pelle è calda e questo significa che nel tuo corpo c'è una fonte che produce questo fuoco che riscalda e che ti dona la vita. Perciò, quando tocchi un corpo morto, noti che è freddo e quel fuoco che gli dava calore si è spento e la vita è andata via, spegnendosi anch'essa. In conclusione, ciò significa che la vita in ogni essere è fuoco e che questo fuoco è Dio stesso, ossia Aton il Sole, che dona la vita ad ogni creatura. E' per questo motivo che, quando il Sole si corica ad occidente, per noi è il paese delle ombre e della morte stessa, del silenzio e dell'oscurità.

Adesso, quello che ci interessa, è sapere come si produce questo fuoco nei corpi. La prima risposta è il cibo che ingeriamo: nello stomaco avviene una prima trasformazione, prodotta da questo “fuoco” che separa l'energia dalla materia ingerita; allora l'energia si trasferisce nel sangue ed è questo sangue ravvivato che porta la vita e il calore a tutto il corpo. Credo tu abbia capito che è il sangue il veicolo dell'energia e del calore; se una persona è ferita e perde il suo sangue, se la ferita non si chiude , la vita stessa scorre via. Tu sai che il sangue si può migliorare, purificare, trasmutare e potenziare in tal maniera che questo rinnovi tutte le cellule del corpo.

Aton e Akhenaton

Da sempre noi sappiamo che è racchiusa nel sangue la nostra memoria e la memoria della nostra razza, che discende direttamente dagli dei creatori; allora noi, operando con il nostro fuoco, non facciamo altro che migliorarci e trasformarci, in questo modo miglioriamo e trasformiamo il mondo. Perciò gli dei, che siano benedetti, hanno scelto il nostro popolo per questo difficile compito, ed io so che proprio nella nostra gente c'è quel seme che Aton stesso scelse per il suo progetto”.

“Maestro” –rispose Tensti- “mi sento fortunato ad essere un vostro discepolo, mi state donando una conoscenza infinita”.

“Ringrazia Aton e gli dei creatori, io sono solo un loro mezzo che compie e porta avanti un progetto. Ora ti racconterò qualcosa che ti piacerà“ –disse Akhenaton, felice di vedere il suo allievo così attento ed entusiasta- “Noi uomini siamo come un'ardente fontana da cui sgorga in tutti i momenti il seme della vita e noi stessi siamo fuoco, fiamme e luce, portiamo l'eterno calore di Aton nelle nostre vene, nel nostro sangue. Aton Vivo è il Fuoco dei fuochi, è come un eterno vulcano eruttante energia creativa, e tutti noi siamo piccoli vulcani che pure manifestano nell'acqua il Fuoco Creatore della Vita. Ed è con quell'acqua di Fuoco, seme della vita, che noi creiamo in questo piano, usando una matrice adatta, la discendenza degli dei: i nostri figli.

Noi siamo come scintille di Aton, del Sole stesso, e se lui è il nostro padre generatore e l'origine di quello che siamo, sicuramente ha usato una matrice adatta alla sua forza.

Sai qual è questa matrice femminile, caro Tensti?”.

“Maestro, dovrebbe essere la dea notturna, la Luna: Iside stessa”, rispose Tensti.

“Sì, è così. Allora, se riportiamo il tutto al nostro essere, la parte femminile è il “Ba” e il Sole generatore è la nostra mente che l'ingravida con un'idea-pensiero, manifestata nell'acqua di Fuoco. Così nasce Oro, Horus Piccolo Sole, uguale in tutto al Grande Sole; così il Padre si manifesta attraverso di noi per compiere la sua opera e noi diventiamo lui, la nostra Grande opera è finita: lui diventa uomo e noi diventiamo dio…”.

Akhenaton finì di parlare ed un silenzio profondo riempì il giardino; la dolce brezza del Nilo accarezzava i loro corpi, mentre il suo sogno si compiva.

La sua città divenne una realtà. Il luogo era quello del sogno e si trovava a 300 chilometri da Tebe, verso nord.

L'incontro con Aton, con quel disco luminoso come il Sole e il dono della pietra bianca, furono le motivazioni principali del suo progetto. L'altro motivo fu l'insegnamento che ebbe dal grande Sacerdote dell'Ordine e Gran Maestro della Casa della Vita. Con l'appoggio morale di questo personaggio ed il suo grandissimo entusiasmo fece sì che, pian piano, il progetto cominciasse a prendere forma. Anche la collaborazione dei fratelli dell'ordine a cui fu iniziato lo aiutò in quella grande opera di costruzione: questi erano architetti, muratori, artisti ed artigiani e anche guerrieri, come tanta altra gente che con grande fervore offrì la propria manodopera per sviluppare la città dei suoi sogni. Così, in poco più di quattro anni, un'impresa quasi impossibile divenne realtà.

Ma la cosa più sorprendente fu la totale innovazione religiosa: dal panteismo di Amon al monoteismo; questa trasformazione travolse con la potenza di un'immane valanga tutto il sistema religioso precedente e l'apparato che lo componeva: furono confiscati templi, terre e tutte le ricchezze che il clero aveva in suo possesso; cambiò la filosofia di vita, imperniata ora su un sistema pacifico basato sui valori dell'amore, della pace e dell'armonia.; si insegnò ad amare la natura, si diede un'istruzione ai bambini, anche l'arte si liberalizzò dai vecchi canoni e la pittura ed il bassorilievo mostrarono aspetti più moderni sconosciuti prima.

Il popolo era felice e, visto il successo, altre città stavano sorgendo emulando Akhetaton.

La città di Akhetaton fu disegnata usando come modello la capitale dell'antica terra dei padri Atlantidei, la cui tradizione fu tramandata attraverso Thoth. Il Grande Tempio con il Palazzo adiacente erano nel centro della città e tutt'intorno si estendeva un parco pieno di piante, fontane e laghetti, e di tutti i più bei fiori del regno, per magnificare il re e il faraone con la sua bella Nefertiti. Non solo, vi si trovava una quantità di voliere piene di uccelli esotici, pavoni reali, cigni, che erano la gioia della coppia reale e delle sue tre principessine, delizia per gli occhi dell'intera famiglia reale. Dopo il parco, che faceva parte del nucleo centrale della città, si alzava la prima cinta muraria fatta con mattoni cotti e smaltati di rosso. Nel secondo anello si trovavano le abitazioni dei nobili e dirigenti del regno; queste abitazioni erano vere ville con giardini, piante e fontane. Dopo c'era nuovamente un muro di cinta, altre case e così via, fino a formare sette cerchi concentrici completi, attraversati da due viali disposti a forma di croce che, dai quattro punti cardinali, conducevano al centro e le case erano abitate secondo la categoria di appartenenza, in accordo col proprio rango.


Le rovine del palazzo di Akhetaton (l'orizzonte di Aton),
oggi conosciuta come Tell El-Amarna

Davanti all'ingresso principale c'era il porto dove, giorno dopo giorno, centinaia di imbarcazioni scaricavano merci di ogni tipo, materiali da costruzione, legnami, derrate alimentari ed altro, tutto controllato da soldati, doganieri e scribi che con grande cura seguivano ogni cosa. Portatori, muli e carretti carichi entravano in città, portando merci nei depositi, nei magazzini di stato e in quelli privati.

Così la fama e la bellezza di Akhetaton oltrepassarono le frontiere della terra del dio Aton e genti giunsero da ogni dove per popolare la città del giovane faraone monoteista. Vennero dalla Siria e dalla Nubia e pure alcune intere tribù del deserto, per vivere in pace sotto la protezione del faraone.

L'unica condizione era quella di accettare le leggi e di adorare l'unico dio Aton, senza simulacri e senza preti intermediari. Il Sole era la fonte di ogni bene e l'origine della vita stessa, così diventava il più importante di tutti.

Ricostruzione tridimensionale della pianta della città di Atlantide

In quella nuova città sorta dal nulla si trovava lavoro per tutti: per muratori, falegnami, fabbri, artisti e artigiani, per chi lavorava nelle campagne e per chi accudiva gli animali; c'era posto anche per fontanieri, panettieri, macellai ed altro, e le genti fraternizzarono tra loro e vissero tempi felici pieni di abbondanza. Gli egiziani accettarono questo progetto, accettarono gli stranieri, così tutti divennero un solo popolo, con un solo Dio e un solo Gran Sacerdote e grandissimo faraone: Akhenaton!

Il sovrano, vedendo realizzato il suo sogno, ringraziava il dio così: vestito con vesti di luce, ricoperte d'oro, alzava il braccio sinistro verso il cielo, con il palmo della mano rivolto verso Aton, per ricevere la sua energia, mentre con la destra benediceva il suo popolo. Il profumo dell'incenso, della mirra, del mastice e delle piante profumate riempiva ogni luogo, perché erano moltissime le are dove le colonne di fumo salivano verso il cielo, mentre Akhenaton con voce tonante recitava i suoi inni:

“Oh, Aton del Giorno, Dio unico, a te offro tutto quanto esiste nel mio regno: le terre con i suoi frutti, gli animali, le acque con le barche, l'aria che respiriamo, il fuoco che arde senza sosta in ogni casa della tua città e su tutta la mia gente. Tutto questo è tuo, Padre Infinito: un unico grande tempio. Oh, Sole immenso di bontà infinita, io benedico la tua forza di fuoco, tu Padre benedici il fuoco che è in noi e che è sempre tuo”.

Allora trombe, flauti, sistri e cimbali irrompevano con suoni potenti e dal cuore di Akhenaton anche la musica e i canti salivano al cielo, mentre il coro di vergini e giovani candidati cantava per la gioia di essere ed esistere. Finita la musica ed il coro Akhenaton , sempre assistito da Nefer-Nefer Nefertiti e con le bambine che lanciavano petali di fiori in tutte le direzioni, diceva: “Canta, popolo di Akhetaton, canta e loda il tuo Dio e che tutta la terra del Basso e dell'Alto Egitto gioisca della tua gloria, della tua luce e del tuo calore, Tu grande e unico Dio. Che la tua barca navighi eternamente da Oriente verso Occidente: io, tuo figlio diletto, e la tua bella Nefer-Nefer Nefertiti governeremo l'Egitto con Amore e Giustizia”.

Così il faraone salutava tre volte al giorno, all'alba, a mezzogiorno e al tramonto, il suo dio e lui solo era l'officiante, il Gran Sacerdote, davanti ad un'ara di porfido verde fra nuvole d'incenso… lui era il Sole, la sua incarnazione nella terra d'Egitto.

Questo fu il sogno, il più grande che un figlio della Luce e dei popoli del Nilo potesse mai materializzare, e fu questo popolo ad essere scelto come seme di una realtà proiettata nel lontano futuro, che fece nascere la speranza per tutti coloro che, stanchi, con le membra mummificate da vecchie credenze e dominati da un potere prevaricatore si risvegliavano ad una nuova vita, e il sogno, che in fondo era il sogno di tutti, si fece realtà.

L'Egitto divenne la terra promessa del dio Aton e la città di Akhetaton il suo centro.

Così, in questa città della luce, libera da false imposizioni, si creavano arte e bellezza e fu là che i creativi si riunirono per dare vita ad un'impresa colossale, come lo furono le grandi piramidi: un sogno, un grande e immenso sogno.

Akhetaton, la città di Aton vivo, dove il sogno-progetto del giovane faraone fu realizzato, divenne giorno dopo giorno scenario di eventi negativi, scatenati appositamente per creare scompiglio e annientarla.

Tutta la popolazione, da felice e tranquilla com'era, divenne timorosa e suscettibile. In tutta la città la paura e la sfiducia presero il sopravvento.

Strani personaggi creavano disordini, provocando liti ed incidenti di ogni tipo, e non passò giorno che non avvenisse un omicidio o che un magazzino non andasse in fiamme. Nel buio del potere, con la loro ignoranza, usavano le forze oscure e della magia nera per tale proposito, così un'atmosfera triste e cupa aleggiava sulla città e, piano piano, inesorabilmente, calò sulla popolazione avvolgendola tutta.

Le uniche persone felici erano i preti di Amon che, travestiti da gente comune, danzavano di gioia con il cuore pieno di odio verso Akhenaton e tutti coloro che si erano liberati dal loro dominio: cominciavano ad assaporare il piacere della vendetta e la speranza di riprendersi le terre, le proprietà e tutte le ricchezze che il Faraone, con la forza di Aton nel cuore, un giorno aveva loro tolto.


Il Tempio di Amon

Davanti a questi fenomeni era necessario prendere dei drammatici provvedimenti, perché il nero nuvolone che si era abbattuto sulla città non lasciava molte alternative. Così, il Faraone convocò con urgenza il capo della sua guardia personale e della guarnigione militare e tutti i capi delle diverse etnie oltre alla Gran Maestranza del suo Ordine, per discutere sul da farsi ed essere pronti con un piano, affrontando la possibilità di un attacco dell'esercito sotto il comando del generale Horemheb.

Comunque, Akhenaton sapeva da tanto tempo tutto quello che si tramava alle sue spalle per distruggere ed annientare il suo progetto. Sapeva anche che un'idea come la sua, per durare nel tempo e ri-manifestarsi quando il momento lo avrebbe permesso, doveva subire una fase al nero, ossia negativa, di forza contraria, per dare vigore al progetto originale. Restava quindi soltanto da preparasi al colpo e saper usare quella forza per sconfiggere gli avversari.

Fu così che, dopo aver parlato a lungo con tutti i capi e con i suoi fratelli dell'Ordine, espose un'idea un po' pazza che da qualche tempo gli balenava nella testa. Si trattava di farsi avanti e rischiare per primi, in senso lato.

Il progetto venne votato all'unanimità per alzata di mano e, successivamente, si passò all'organizzazione. L'idea era buona e lui sentiva che sarebbe riuscita benissimo. Il monoteismo si sarebbe momentaneamente “addormentato” per poi risvegliarsi, completamente trasformato, quando i tempi sarebbero stati maturi. Anche perché, astrologicamente, il segno zodiacale del potente Toro stava declinando, lasciando spazio ad Aries, l'Ariete Celeste; così, tutto doveva essere pronto per approfittare di quel momento, usandolo come un trampolino di lancio per compiere il cambiamento.

Allora, fra le diverse etnie residenti in Akhetaton, si scelse il popolo di Giuseppe, che si era inserito perfettamente nella nuova realtà monoteista chiamata Aton, poiché il loro era un dio unico ed erano i cittadini più entusiasti e numerosi. Questi erano, per la maggior parte, commercianti, artigiani e pastori senza una propria terra; così, di fronte alla possibilità di averne e di avere una sola religione, non esitarono un momento ad appoggiare il progetto del Faraone.

Tutt'attorno alle mura della bella città si era accampata la quasi totalità dell'Armata egizia, ad eccezione dei distaccamenti di frontiera e di quelli rimasti a vigilare e a difendere il resto del paese.

Tutta la popolazione si era rinchiusa fra le mura e molti si preparavano a resistere perché valeva la pena lottare per difendere quel paradiso di pace la cui realizzazione era costata tanta fatica e sudore. Ma il loro Faraone, amante della pace, dell'amore e della bellezza, non poteva permettere che si perdesse neanche una goccia del prezioso sangue dei suoi sudditi. Egli usò di nuovo la sua ispirazione in appoggio alla sua intelligenza e, credendo fermamente nella grandezza del popolo egizio, figlio degli dei, e non volendo permettere che qualcuno morisse, decise di parlare con il comandante che, oltretutto, conosceva benissimo. In più occasioni, infatti, Horemheb aveva reso obbedienza e ricevuto gli ordini direttamente dal suo re. Era chiaro che il suo voltafaccia era una manovra ispirata dal clero di Amon: chissà che cosa gli avevano promesso, per convincerlo?


Particolare delle pareti della tomba di Horemheb (Valle dei Re)

Si inviarono diverse ambasciate e si concordò un incontro al vertice, per trattare il da farsi: si stabilì la data e si iniziarono i preparativi. Finalmente arrivò il giorno dell'incontro. Nella grande piazza davanti al palazzo reale, all'ombra di un baldacchino, ebbe inizio la discussione tra i rappresentanti della due forze. Con Akhenaton, vestito di bianco e porpora con indosso gli scettri del comando e la doppia corona, erano presenti, sua figlia Meri-Aton alla sua sinistra e tutt'attorno i dignitari e i Maestri dell'Ordine, insieme ai rappresentanti delle dodici etnie.

Il generale Horemheb, in alta uniforme militare, era accompagnato da alti ufficiali e tra questi, un po' in disparte, c'era un gruppetto di sacerdoti di Amon. Arrivati ad alcuni passi dal trono fecero tacere i tamburi che ritmavano il passo e nessuna cerimonia di saluto ebbe luogo, soltanto un breve cenno d'inchino con la testa, dopodiché si sedettero ognuno al posto assegnato.

Ci fu un istante di profondo silenzio e gli sguardi si abbassarono davanti agli occhi del Faraone, che volle osservare l'anima di ognuno: solo il generale riuscì a sostenere, più o meno, la forza indagatrice dello sguardo del figlio di Aton che gli scrutava dentro con dardo di fuoco e gli domandava: “Perché?”.

Passato quel terribile momento che sembrò lungo un'eternità, il Faraone parlò con voce solenne:

“Generale”, disse, senza fare il suo nome, “vi esporrò il nostro progetto per evitare, soprattutto, un inutile e indesiderato spargimento di sangue. Voi sapete che, come Faraone d'Egitto, non posso permetterlo, così vi invito a valutare quanto sto per dirvi e ad accettare la mia proposta, perché sapete bene che una guerra civile lascerebbe profonde ferite nell'animo del mio popolo e questo né voi, né io ce lo auguriamo”.

Il generale fece un sorriso che assomigliava di più ad un ghigno e, con voce rauca, rispose: “Signore, anche se le nostre idee non coincidono e il destino ci vede uno opposto all'altro nella nostra stessa terra, io vi ascolto. Voi siete sempre il Faraone e non sarò io a negare la vostra divinità, né tanto meno vorrei essere il responsabile di un conflitto armato tra la nostra gente. Perciò parlate, vi ascolto”.

Un altro momento di silenzio più profondo del primo segnò quell'incontro, fino a quando il faraone si alzò in piedi e con lui tutti gli altri. Allora la voce di Akhenaton, forte e sicura, disse: “Io, Akhenaton Nepher Kepheru Wa Ra En Ra, Faraone dell'Alto e del Basso Egitto, per volontà di Aton fra due lune vi consegnerò le chiavi della mia città e, con esse, io rinuncerò al mio incarico di Faraone declinando ogni potere politico e religioso. In cambio vi chiedo di rispettare la vita di ogni cittadino di Akhetaton e di concederci un ciclo di 365 giorni per prepararci ad una resa totale, senza condizioni, ed abbandonare per sempre queste terre benedette. Nel frattempo, nessuno dei miei sudditi e tanto meno io, interferiremo nella religione e nelle questioni politiche e militari dell'Egitto. Questo ho detto!”.

Mentre il generale, con un'espressione più rilassata sul volto, si consultava con la sua delegazione, un mormorio di voci riempì la piazza; Akhenaton si sedette nuovamente e, con lui, tutti gli altri. Finalmente il generale fece udire la sua voce e tutti, in silenzio, aspettarono la sua voce, perché da quella dipendeva il futuro della città di Akhetaton.

“Accettiamo la vostra proposta”, disse, e finalmente tutti i presenti tirarono un grosso sospiro di sollievo. Gli scribi prepararono i diversi cartigli che furono firmati e sigillati e, con un breve saluto, entrambe le delegazioni lasciarono la grande piazza. Allora la folla, saputa la notizia, si precipitò verso la piazza; erano tutti allegri e felici per lo scampato pericolo e da ogni dove si udiva soltanto il nome del più meraviglioso Faraone della storia d'Egitto: Akhenaton!

Quella sera si festeggiò in pompa magna: polli, oche e vitelli furono macellati; si distribuirono pane, dolciumi e tantissima birra e tutta la popolazione di Akhetaton fu felice, dimenticando le diatribe tra gli dei e tutti i problemi che il cambiamento aveva provocato. Così, alla luce di migliaia di torce e di fuochi dove si arrostiva carne a volontà, la gente rise, mangiò, cantò e discusse; infine, la birra sortì un effetto terapeutico e l'alba trovò ancora qualcuno che festeggiava.


Il disco del sole con Ra rappresentato con la testa di ariete e lo scarabeo, animale a lui associato

Anche nel palazzo reale le luci rimasero accese per lungo tempo e, dal giorno seguente, il Faraone sparì per sempre dai luoghi pubblici. Nel suo palazzo rimasero soltanto alcuni funzionari e pochissimi domestici, lasciò altri incarichi a persone di fiducia in grado di risolvere i problemi della popolazione e fece chiamare il suo amico e fratello Tensti, poi tutti e due, travestiti da stranieri, si inoltrarono nelle profondità del deserto.

Passarono più di dieci lune, ma dal deserto arrivavano solo vento e sabbia e di Akhenaton, che si era recato dai Mitanni, ancora non si aveva notizia.

Così, più di duecento volte Horus si alzò ad oriente ed ogni giorno un gruppo di persone, oltre al vecchio cane del Faraone, si spostava alle soglie del deserto, aspettando il ritorno di colui che aveva saputo dare tanto benessere alla sua gente.

Quel giorno, finalmente, due sagome appena visibili cominciarono a stagliarsi all'orizzonte e tutti iniziarono ad innervosirsi. Fu proprio il fedele cane che per primo lo riconobbe, alzò le orecchie e, agitando la coda, senza più dubitare partì come un fulmine verso quell'apparizione. Allora non potevano esserci più dubbi e tutti, con il cuore in gola, andarono incontro a quei due personaggi che si avvicinavano.

Quando furono a pochi passi videro questi due uomini che non assomigliavano a coloro che erano partiti quasi un anno prima. Uno, il più alto, si appoggiava ad un lungo bastone di legno e, sotto la tunica, si poteva intravedere un corpo muscoloso e possente; l'altro, più basso, aveva il passo più veloce, ed entrambi portavano una lunga e rigogliosa barba.

“Buongiorno stranieri, siate i benvenuti!”, esclamò all'unisono il gruppetto di persone. “Buongiorno”, risposero quelli, “che Aton sia con voi!”.

Si fece un grande silenzio e tutti capirono che il loro capo era tornato.

Si abbracciarono calorosamente. L'ora dell'esodo era arrivata!

La popolazione di Akhetaton era in festa, ora tutto sarebbe cambiato.

Coloro che erano appena arrivati dal profondo deserto emanarono nuove direttive, con un via vai frenetico di messaggeri. Prima di tutto,i nomi dei gruppi appartenenti all'intera popolazione dovevano essere cambiati e si doveva anche dividere la gente in dodici tribù riconoscibili, per facilitare il loro governo e per avere un controllo accurato su tutto.

Il viaggio pianificato non era certo una passeggiata.

Si dovevano gettare le basi per una futura nazione monoteista e colui che adesso si faceva chiamare Moshé, con suo “fratello” Aronne, erano la punta di diamante di un Collegio Iniziatico con un incredibile compito da realizzare.

Il popolo nel suo insieme si chiamò Benei Israel , che vuol dire “ Figli di Isis, di Ra e di El ”, ovvero Adon, Adonai e Aton.

Quando Akhenaton viaggiò nel deserto fu curato e accudito e diventò forte, temprato dal sole, dalla sabbia e dal vento. Insieme a Tensti si fece crescere la barba, ed entrambi vestirono come gli abitanti del deserto, apprendendone le abitudini. Inoltre, il Faraone fu ricevuto dal capo dei Mitanni, il quale gli trasmise un altro tipo di conoscenza iniziatica che combaciava con la sua teoria monoteista. Prese per sempre il nome di Moshé.

Jetro, poi, gli concesse sua figlia Sephora, poiché era noto come egli discendesse per linea materna da quel popolo. Sephora era una sacerdotessa ed egli, dunque, si abbeverò direttamente a quella fonte.


(fine sesta parte)

 
di Alfredo Di Prinzio

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