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Un'incontro molto particolare
(15/12/2004)

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Quella sera tutto era tranquillo e la città si preparava per il riposo.

La mia compagna era andata all'estero e io ero solo nell'appartamento che curiosavo fra i miei libri. Senza volerlo e senza toccarlo un libro cadde sopra i miei piedi. Per fortuna non si trattava di un grosso volume; incuriosito lessi il titolo: era uno di quegli strani libri che parlavano dei Pleiadiani, degli Ufo e dei fratelli cosmici.

Lo aprii a caso e lessi di un contatto dell'autore, un certo Mayer, con esseri provenienti dalle stelle, più precisamente dalle Pleiadi. Addirittura raccontava che venne portato al loro pianeta dove gli mostrarono le abitazioni, gli edifici pubblici, e le bellezze di quei luoghi. Finiva il capitolo descrivendo l'aspetto fisico e le abitudini.

Quando finii la lettura era mezzanotte passata; non avevo più sonno e il mio cervello iniziò a “volare” aiutato dall'immaginazione, identificandomi con l'autore e con il suo incredibile viaggio.

Decisi allora di fare una passeggiata notturna per liberare la mente ed evocare Morfeo. Mi vestii con una giacca pesante, cappello, sciarpa e scarponi; era inverno e fuori si gelava: presi il mio bastone da passeggio ed uscii.

Fuori il freddo si faceva sentire di brutto, ma non ci feci caso e mi incamminai verso il bar della stazione, che era l'unico che sapevo aperto. Lì si dava assistenza ai passeggeri, ai conducenti e ai nottambuli come me, confortandoli con bevande calde, qualche bicchierino e un po' di calore fisico e umano.

I vetri visti da fuori erano tutti appannati, entrai e subito chiesi una camomilla. Quell'infuso dorato riempì il mio corpo di una bellissima sensazione di calore. Ero pronto a fare un piccolo giro prima di coricarmi nel calduccio del mio letto.


Così mi trovai, camminando, fra le gelide e deserte vie del mio quartiere. Senza una fissa destinazione mi incamminai verso un piccolo prato dove i giovani giocano a calcio e le mamme portano i piccini a prendere un po' di sole nelle giornate fredde dell'inverno.

Ero completamente solo, il cielo era trapuntato di stelle che riempivano tutta la volta celeste, e un fascino gioioso riempì il mio essere. Era tanta la bellezza che mi domandai se ci fosse qualcun altro che come me si godeva quello spettacolo.

Intorno non si vedeva nessuno, nonostante la tenue luce delle stelle e la luna piena illuminassero tutto il piazzale. Era tutto immobile, come congelato. Solo in cielo notai una stella molto luminosa che sembrava muoversi. Effettivamente non mi sbagliavo: si muoveva per davvero, e io, come ipnotizzato, rimasi fermo a guardare quella stranezza.

Quella che sembrava una stella si trasformò in un ufo, un disco volante o meglio un'astronave che si posò galleggiando dolcemente a una cinquantina di passi da me.

Siccome il caso non esiste, mi ricordai del libro che cadde ai miei piedi e dell'avventura vissuta dall'autore, e, tremando come una foglia al vento, mi disposi a un possibile incontro. Forse sarebbe stato opportuno scappare e alla svelta. Tentai di muovermi, di fare qualche passo, ma ogni tentativo risultò inutile. Ero inchiodato con la sensazione di stare con i piedi in un blocco di cemento.

Ogni tentativo fallì, respirai profondamente e mi sforzai di rilassarmi, mentre il mio cuore correva come una cavallo pazzo.

L'ufo era lì, sembrava che respirasse, e dappertutto c'era un suono strano come di cicale, mentre un profondo aroma di geranio riempiva il luogo. Allora una porta si aprì ed una rampa scivolò posandosi per terra. Non ho idea di quanto tempo passò, poi finalmente una figura si ritagliò contro luce e iniziò a scendere. Dietro ce n'erano altre tre, di statura enorme.

Quel corteo si fermò a pochi passi da me. Il primo era un uomo anziano con barba bianca, con una tunica dello stesso colore. I suoi occhi erano azzurro celeste e irradiavano una luminosità tutt'intorno. Invece i tre esseri dietro di lui indossavano una tuta spaziale argentea con scafandro trasparente.


Portava in mano una scatola di metallo bianco, sostenendola con delle maniglie da ambo le parti. Secondo le mie letture, poteva trattarsi di un essere extraterrestre, di un dimensionale, o addirittura di un sacerdote cosmico, o, più semplicemente, di un turista proveniente da Marte.

I miei pensieri furono interrotti da una specie di fruscio che sentii dentro alla testa e una voce forte e chiara risuonò nel mio cervello:

“Salute a te, figlio del Sole!” disse e fece un inchino con la testa.

“Io sono Aramu-Muru, capo della fratellanza dei Sette Raggi, e sono venuto dalle stelle per consegnarti questo dono”.


Ero come impalato con la bocca aperta, e tutto mi sembrava così irreale, fino a che nuovamente quella voce nel mio cervello continuò a parlare.

“Un'altra volta lo consegnai durante l'antico Testamento e fallirono. Ora, grazie alla tua ricerca spirituale, lo depositiamo nelle tue mani. Vedi di non fallire tu.”

E, senza aggiungere altro, mi consegnò quella scatola e si allontanò verso la nave seguito da quelle tre specie di robot giganti.


Entrarono e automaticamente la rampa si chiuse, e con un rumore simile ad un vespaio l'apparecchio si elevò di alcuni metri, e partì a razzo scomparendo nel cielo tra le infinite stelle.

Se non fosse per la scatola metallica e il profumo di geranio, avrei giurato di aver vissuto una bella allucinazione. Notai che mi ero liberato da quella paralisi, così mi affrettai verso casa.

Posai quella scatola sul tavolo e mi sedetti a osservarla. Non so quanto tempo rimasi inchiodato a studiarla.

Finalmente mi alzai in piedi e senza pensare aprii il coperchio. Dentro c'era una pietra bianca rettangolare perfettamente levigata. Allora la tolsi dalla scatola per vedere se c'era qualche segno, alcune indicazioni che mi spiegassero a cosa potesse servire.

Nulla, niente di niente.

Allora la misurai: 32 cm di lunghezza, 16 cm di ampiezza e 16 cm di altezza. Praticamente era un doppio cubo. Però, cosa dovevo fare per non fallire?

L'orologio segnava le 5:20 del mattino, chiusi la scatola e mi coricai addormentandomi all'istante.

Passarono più di dieci anni da quella avventura notturna e la pietra, nascosta in un luogo sicuro, continuava a incuriosirmi e le domande che si accumulavano in me erano moltissime e tutte senza risposta. Fino a quando non mi regalarono un libro inviatomi dal Sud America che rispose ai miei quesiti:

Il titolo del libro era: “El Secreto de los Andes” di Brother Philip – Ed. Kier, Baires, Argentina, pagina 16: “I templi di Atlantide e di Lemuria esistono nei regni eterici. Arriverà il giorno, quando l'uomo sarà pronto a riceverli, in cui discenderanno nuovamente. Una e più delle preziose pietre furono depositate nelle mani di un Sommo Sacerdote, capo di un Ordine Spirituale con il quale si connettono le Gerarchie Celesti. Ci sono alcune dozzine di queste pietre in possesso dei fratelli che si trovano in svariati punti della Terra…”

Un forte brivido percorse tutto il mio corpo, e da quell'istante iniziai a capire.

 
di Alfredo Di Prinzio

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