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Il vecchio Elias
(15/11/2004)

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Nel nostro villaggio tutto era tranquillo.
Eravamo un gruppo di amici, sempre insieme e, non so spiegarmi il perché, io ero sempre il capo. Eravamo in quattro; quattro ragazzi vagabondi e sfaticati sempre lontani mille miglia da scuola, a combinar guai.
Mi chiamavano Melchiorre, semplicemente, non avevo un sopran nome, solo quel nome che forse mi avevano dato perché ero nato il 6 gennaio. Gli altri: Carbone, Bianco Spino e il Rosso; insieme era vamo la quaterna delle pesti del villaggio.

Da sempre sul dorso della collina che sovrasta il paese c'era una casetta di pietra grigia e fumosa. Tutt'attorno erba e piante che crescevano secondo l'ordine della Natura, e in questa meraviglia, il fiume che carezzava d'argento le rive folte, per andare a gettarsi nel lago profondo tra le grandi montagne.
In questa casa, per noi misteriosa, v'era un fascino irresistibile che ci spingeva a visitarla almeno una volta al giorno. Sarà stato quel vecchio cartello dalle lettere scolorite che diceva: "Mantenetevi alla larga o guai a voi!" ... o forse sarà stato per quel vecchio, cosi vecchio che nessuno al villaggio ricordava più il suo nome ne da dove venisse.
Usciva solo di notte e non parlava mai con nessuno. Di giorno lo sbirciavano da una finestrella della sua casa mentre si aggirava silenzioso tra mille strumenti strani: alambicchi, storte e cose simili. E il fuoco ardeva tutto il giorno nel suo camino donde usciva un fumo denso, nero, e qualche volta di vari colori, che attirava la nostra attenzione quando il vento lo modellava suscitando delle for me bizzarre.
Vestiva sempre di bianco, mi pare si chiamasse Elias ma non ne sono sicuro, e le sue vesti candide facevano da contrasto sorprendente con la sporcizia e il fumo e la polvere del suo laboratorio.
Elias aveva i capelli e la barba ugualmente candidi; gli occhi azzurri e luminosi, qualche volta sembravano rischiarargli il viso d'una luce incantata.

In paese tutti credevano che il vecchio fabbricasse whisky per il contrabbando, ma non l'aveva mai venduto a nessuno, ed era impossibile che lo bevesse tutto da solo, perché mai lo avevano visto ubriaco. E allora?
Una sera mentre guardavamo curiosi dalla finestrella fuori dalla sua casa, lo sentimmo bisbigliare che l'indomani sarebbe arrivata la "Dama bianca". Ci guardammo sorpresi e speranzosi di potere assistere a chissà quale evento, curioso e interessante. Già assaporavamo la scena nella nostra fantasia.
Molte erano le domande che ci balenarono nella mente quella notte, mentre cercavamo invano di prendere sonno nei letti delle nostre case.
Il giorno dopo, per potere assistere a quell'incontro così atteso, ci recammo di buon'ora presso un nascondiglio vicino alla casa grigia. E aspettammo, ora dopo ora.
La sera era già calata e noi ci eravamo stancati, così decidemmo di avvicinarci alla finestrella della quale lo spiavamo sempre. Elias era seduto, immobile, al centro della stanza. Sembrava che dormisse. Aspettammo ancora, col fiato sospeso e gli occhi sgranati.
Elias ad un certo punto si alzo, quasi di scatto, ed andò ad aprire la finestra grande. Subito la Luna piena e maestosa illuminò la stanza inondandola della sua bianca e lattea luce.
"Io ti saluto Iside, Dama Bianca, Madre delle Acque, dea Immacolata della volta celeste... tu sei la Madre del mondo, tu sei la vita e dai la vita. Io Elias ti ringrazio e ti benedico. Tu benedici me perch é ho realizzato la Grande Opera" disse, alzando le braccia verso la Luna.

Delusi, ci guardammo tra noi: non era come avevamo immaginato. Carbone a quel punto scivolò e cadde con grande fragore. Per un attimo i nostri cuori smisero di battere. Ci girammo, e il vecchio era vicino a noi. Elias aiutò Carbone ad alzarsi. Strano, era come se lui sapesse di noi perché non ci rimproverò per nulla. Anzi ci invitò a entrare in casa, ci fece sedere e disse: "Ascoltatemi, io partirò per un lungo viaggio, c' è una Signora che mi aspetta " e guardò la luna.
Ma la cosa ancora pi ù strana era che intorno a noi, dentro la casa, non c'era nulla di quello che avevamo visto da sempre nessun strumento strano, niente.
Allungando una mano ossuta, Elias mi porse una boccettina contenente un liquido giallo, e una specie di pergamena piena di strani simboli misteriosi.
"Prendete queste cose — ci disse — adesso non capite, però certamente arriverà il giorno che saprete capirli".
Sbalordito e confuso, afferrai meccanicamente quello che il vecchio mi stava offrendo. "Andate ora, e non mi dimenticate perchè io non dimenticherò voi".

Uscimmo di corsa, corremmo a perdifiato, ognuno verso la propria casa, non so se terrorizzati o cosa. E per tutto il giorno restammo dentro casa, intimoriti e silenziosi. La mattina dopo, a scuola, gli altri tre mi chiesero degli oggetti che il vecchio mi aveva dato, ma non volli parlarne: "dopo", risposi loro.
All'uscita della scuola, come sempre ci incamminammo automaticamente verso la casa del vecchio. Ebbene, quando giungemmo sul posto, trovammo una bellissima pianta di magnolia, grande e maestosa, invece della casa. E tutto era fiorito lì intorno, tutto profumava ed era meraviglioso.
Oggi dopo tanti anni, ricordo che la boccetta e la pergamena erano toccate a me, in sorte, e che allora, guardando attraverso il cristallo, nel liquido d'oro mi sembrava di vedere il vec chio Elias sorridermi.
Più il tempo passa e più lo specchio quando mi vedo in esso, mi rivela che le nostre sembianze stanno diventando un tutto uno.
E io so.

 
di Alfredo Di Prinzio

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